Sapere Scienza

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Sono passati 160 anni da quando Charles Darwin pubblicò la sua epocale teoria dell'evoluzione, di cui quasi tutti hanno almeno sentito parlare. Ben pochi, però, hanno udito il nome di Theodosius Dobzhansky. Nel suo libro "La genetica e l'origine delle specie", del 1937, egli individuò nella genetica, quindi nel continuo modellamento e rimodellamento dell'informazione biologica, la chiave dell'evoluzione e il motore dei processi di speciazione, ossia quelli che portano alla formazione di nuove specie di organismi viventi.

Le geometrie che osserviamo in natura ci stupiscono nella loro regolarità. Il mondo vegetale ci dona tutti i giorni un caleidoscopio di colori e forme dal ritmo ipnotizzante: il girotondo dei petali dei fiori, la marcia immobile delle spine delle piante succulente, le esplosioni pirotecniche di alcune infiorescenze. E poi ci sono le foglie. La loro disposizione ha da sempre incuriosito gli scienziati che, negli anni Novanta, riuscirono a spiegare matematicamente gli schemi seguiti da queste strutture. Modelli che erano in grado di decifrare molto ma non tutto. Ora un gruppo di ricercatori dell'Università di Tokio ha aggiunto nuovi elementi di calcolo, riuscendo a illustrare schemi di foglie che, fino a ora, non trovavano un'equazione che li descrivesse.

Una soluzione a base di acqua e aghi di abete bianco della montagna toscana ottenuta attraverso un processo di cavitazione idrodinamica controllata, ha dimostrato capacità antiossidanti equiparabili o migliori rispetto alle sostanze comunemente usate come riferimento, dalle vitamine C ed E, al resveratrolo alla quercetina. È quanto emerge da uno studio condotto dai ricercatori del CNR, dell'Istituto di BIoMETeorologia-IBIMET (HCT-agrifood Laboratory) e dell'Istituto di Ricerca sugli Ecosistemi Terrestri (IRET), pubblicato dalla rivista Foods.

Il mondo che si nasconde al di sotto della superficie del mare è per molti sconosciuto. Non fa eccezione la vegetazione marina. Non esistono solo alghe ma vere e proprie piante e, la loro presenza, può rivestire un ruolo importante nella protezione delle spiagge dal fenomeno dell'erosione, legato in parte anche all'innalzamento del livello del mare. La loro azione è quantificabile? Grazie ai ricercatori del MIT-Massachusetts Institute of Technology, per la prima volta, è stato possibile misurare il meccanismo che rende queste praterie sottomarine delle utili e preziose barriere.

Gli stomi sono piccolo pori presenti sulle foglie delle piante e, nonostante le loro dimensioni, esercitano una grande influenza sulla salute del nostro pianeta. Attraverso queste "finestre" le piante assorbono anidride carbonica, che viene in seguito incorporata nei carboidrati, gli zuccheri di cui si nutrono, e rilasciano ossigeno. Ma, attraverso queste aperture, avviene anche la perdita di acqua, che può minacciare il mondo vegetale in climi aridi. Le piante hanno quindi sviluppato reti di segnali in grado di ottimizzare l'ampiezza dell'apertura degli stomi in corrispondenza delle condizioni ambientali: i pori possono aprirsi o chiudersi a seconda della disponibilità di luce, CO2 e acqua. Ma come si sono evoluti i segnali per questa tipologia di regolazione? È ciò che hanno studiato i ricercatori della Julius-Maximilians-Universität Würzburg (JMU), in Baviera (Germania).

Le vediamo con le radici fissate nel terreno, che sia di un vaso o di un'area selvatica. Siamo sicuri che le ritroveremo sempre lì, nello stesso posto: potranno essere cresciute, avere foglie, fiori o frutti a seconda della stagione e, davanti a un pericolo, non potranno fuggire. Un insetto potrà nutrirsi di loro, un fulmine potrà bruciarle, chiunque potrà recidere parti di esse. Sono le piante. Ma siamo proprio sicuri che il mondo vegetale non sia fornito di meccanismi di difesa? Un articolo pubblicato su Science ci racconta una storia diversa.

Sembravano essere arrivate notizie incoraggianti dalla Luna: pochi giorni fa erano germogliate per la prima volta delle piante sul nostro satellite. Semi di cotone custoditi in una piccola serra, parte di uno degli esperimenti legati alla missione Chang'e-4. Purtroppo, con il calare delle temperature, i piccoli vegetali non sono sopravvissuti al freddo.

Evolutionwatch, un orologio evolutivo per rivelare il numero di mutazioni in un determinato intervallo di tempo subite da una pianta selvatica. Questo studio, che ha permesso di osservare l’evoluzione in azione, è stato svolto dagli scienziati del Max Planck Institute for Developmental Biology. L’oggetto della ricerca è stato una piccola pianta che è ormai da molto tempo amica dei genetisti: l’Arabidopsis thaliana.

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