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03 Feb 2020

Coronavirus cinese, origini e precauzioni: il parere di un esperto

Giovanni Di Guardo

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I prestigiosi Centers for Disease Control and Prevention (CDC) di Atlanta hanno dichiarato già da diversi anni che le “malattie infettive emergenti” sarebbero causate per il 60-70% da agenti biologici a dimostrato o sospetto potenziale zoonosico, vale a dire capaci di attuare il cosiddetto “salto di specie” da animale a uomo.

 

I prestigiosi Centers for Disease Control and Prevention (CDC) di Atlanta hanno dichiarato, già da diversi anni, che le “malattie infettive emergenti” sarebbero causate per il 60-70% da agenti biologici a dimostrato o sospetto potenziale zoonosico, vale a dire capaci di attuare il cosiddetto “salto di specie” da animale a uomo.

 

Non costituirebbe un’eccezione anche il nuovo coronavirus cinese, noto con l’acronimo “2019-nCoV” (“2019-novel CoronaVirus”) e che è stato appena innalzato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) al livello di “emergenza globale”, avendo finora causato in Cina oltre 200 decessi.

 

Coronavirus: il salto di specie

 

Da due diverse specie di serpenti velenosi presenti e impiegati a scopo alimentare in Cina, infatti, il virus 2019-nCoV sarebbe passato agli esseri umani, previa “ricombinazione genetica” con un altro Coronavirus proveniente dai pipistrelli.

 

Tale ipotesi, tuttavia, alimenta seri dubbi all’interno della comunità scientifica, visto e considerato che i rettili non sarebbero suscettibili ai Coronavirus, diversamente da mammiferi e volatili. In ogni caso, sembra più che plausibile che il caso o i casi iniziali d’infezione da 2019-nCoV abbiano avuto origine da un “serbatoio” animale, analogamente ai due coronavirus della SARS e della MERS, che avrebbero compiuto il famigerato salto di specie, passando all’uomo rispettivamente dai pipistrelli e da cammelli e dromedari.

 

Coronavirus: come si trasmette

 

Come normalmente avviene per tutte le infezioni da virus respiratori, la trasmissione del contagio da pazienti infetti a individui sani si realizza a seguito di stretti, prolungati e/o reiterati contatti fra gli uni e gli altri.

 

Ciò rende facilmente comprensibile come proprio nella Repubblica Popolare Cinese possa aver avuto la sua culla d’origine quest’ultima epidemia che, al pari di tutte le altre causate da virus respiratori – virus dell’influenza e coronavirus della SARS, tanto per citare due esempi eloquenti –, avrebbe “beneficiato” di una serie di condizioni “ottimali”, rappresentate per l’appunto dall’eccessiva densità demografica umana e animale, dall’elevata promiscuità uomini-animali, nonché da certi stili di vita e abitudini alimentari.

 

Queste avrebbero agito come fattori in grado di “mettere le ali” al virus 2019-nCoV, alla stregua di quanto già fatto nel caso dei virus influenzali e della SARS.

 

Le misure di precauzione per combattere l’epidemia

 

Per quanto poi concerne le misure “draconiane” adottate dalle Autorità Sanitarie Cinesi ai fini del contenimento del virus 2019-nCoV, che ha già fatto registrare casi d’infezione non soltanto in diversi Paesi asiatici, ma anche in Australia, in Nord America e in Europa, penso che siano da ritenersi particolarmente adeguate, al pari di quelle messe in campo (anche) nel nostro Paese (dove sono stati appena accertati i primi casi d’infezione).

 

Facendo opportuno riferimento, in proposito, all’ineludibile premessa della “Scienza basata sull’evidenza”, è bene sottolineare che, quando ci si confronta con qualsivoglia “minaccia per la salute pubblica” – come nel caso di questo nuovo Coronavirus, nei cui confronti un vaccino potrebbe esser disponibile non prima di diversi mesi –, e in attesa che la Comunità Scientifica ne possa delineare con precisione e con i “tempi di manovra” necessari (!!!) i relativi caratteri e contorni, dovrebbe scendere prepotentemente in campo il cosiddetto “principio di precauzione”* (di cui si è fatta grande, imperitura memoria con la drammatica epidemia di “morbo della mucca pazza”).

Il fine primo e ultimo è, per l’appunto, limitare quanto più possibile o, per meglio dire, far tendere “a zero” il rischio di esposizione umana.

 

 

 

* Si veda l’articolo Le nuove epidemie: come affrontare l’emergenza globale

 

 diavoletto

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Giovanni Di Guardo
Giovanni Di Guardo
Giovanni Di Guardo si è laureato in Medicina Veterinaria nel 1982 presso l'Università di Bologna e ha ottenuto nel 1995 la qualifica di "Diplomato del Collegio Europeo dei Patologi Veterinari". Già Docente di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso l'Università degli Studi di Teramo, è autore di oltre 500 lavori scientifici, 150 dei quali pubblicati su riviste internazionali peer-reviewed. Nutre uno spiccato interesse nei confronti della patologia comparata e della ricerca sulle malattie animali quali potenziali modelli di studio nei confronti delle controparti lesive proprie della specie umana, come l’infezione da SARS-CoV-2.

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