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28 Set 2021

Origine di SARS-CoV-2: il dibattito continua

Giovanni Di Guardo

Giovanni Di Guardo
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Secondo un lavoro appena pubblicato in forma di preprint, ovvero non ancora sottoposto a peer review (“revisione tra pari”), il betacoronavirus responsabile della Covid-19, SARS-CoV-2, sarebbe emerso nel 2019 in Cina differenziandosi in due distinti “lineages”, A e B, il secondo apparentemente più diffuso rispetto al primo e circolante ab initio nell’ormai famoso mercato del pesce di Wuhan, da dove si sarebbe progressivamente propagato al resto del mondo, dando vita alla drammatica pandemia con la quale conviviamo oramai da quasi due anni.

Secondo gli autori del contributo in questione, i due “lineages” potrebbero aver tratto origine da un primario ospite o “serbatoio” animale, che molti studiosi identificherebbero nei pipistrelli del genere Rinolophus, analogamente a quanto già accertato per i due coronavirus responsabili della SARS e della MERS.

 

Due salti di specie?

Qualora l’origine naturale di SARS-CoV-2 – ritenuta più probabile e plausibile rispetto a quella artificiale o “laboratoristica” come abbiamo detto qui – dovesse risultare comprovata dalle ricerche future, la comparsa, più o meno contemporanea, di due distinti clusters virali potrebbe recare con sé una serie di intriganti implicazioni: prima fra tutte, non un singolo, bensì due salti di specie (spillover) separati che il “progenitore” di SARS-CoV-2 avrebbe compiuto dal mondo animale all’uomo. Ipotesi affascinante, ma pur sempre un’ipotesi!
I detrattori dell’origine naturale sostengono, di contro, che SARS-CoV-2 abbia avuto origine nei laboratori dell’Istituto di Virologia di Wuhan, dove tre ricercatori avrebbero sviluppato i sintomi della malattia già a novembre 2019, almeno un mese prima che la Cina comunicasse l’avvenuta identificazione del nuovo coronavirus. In verità, una serie di studi condotti in Europa e altrove avevano consentito di rilevare la presenza del virus nella popolazione umana già diversi mesi prima di quella data.

 

Cosa ci dicono i dati sull’origine del virus

L’origine “laboratoristica” di SARS-CoV-2 viene teorizzata sulla base della cosiddetta “gain of function”, l’acquisizione di nuove funzioni conseguente alle manipolazioni genetiche effettuate in laboratorio. Fra queste rientrerebbe, in primis, la capacità del virus di infettare le nostre cellule e di propagarsi nella nostra specie.

 

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Su questo fondamentale crocevia l’ipotesi dell’origine artificiale si interseca, giustappunto, con quella dell’origine naturale di SARS-CoV-2, che risulterebbe avvalorata da una serie di dati, sia storici che attuali:
–    i primi ci rimandano agli agenti responsabili delle cosiddette malattie infettive emergenti, che nel 70% e più dei casi avrebbero una comprovata o sospetta origine animale e, più nello specifico, ai due betacoronavirus della SARS e della MERS, originanti da un serbatoio animale “primario” (pipistrelli) e da un ospite “intermedio” (zibetto e dromedario, rispettivamente);
–    per i secondi, invece, l’elevata similitudine genetica (oltre il 96%) che SARS-CoV-2 condivide con altri due coronavirus isolati in Cina dai pipistrelli (RA-TG13 e RmYN02) renderebbe plausibile la sua origine naturale.
Tutto ciò non senza aver posto adeguata enfasi sul lungo viaggio che in un paio di anni avrebbe portato SARS-CoV-2 a infettare, in condizioni assolutamente naturali, un elevato numero di specie animali domestiche (gatto, cane) e selvatiche (visone, tigre, leone, puma, leopardo delle nevi, lontra, gorilla, cervo a coda bianca), nonché a evolvere in una serie di temibili varianti, quali ad esempio la “cluster 5”, che si sarebbe selezionata per l’appunto negli allevamenti di visoni olandesi e danesi, per esser quindi trasmessa dal visone stesso all’uomo.

 

Per maggiori informazioni sulla pandemia da Covid-19, visita il portale ufficiale del Ministero della Salute.

Giovanni Di Guardo
Giovanni Di Guardo
Giovanni Di Guardo si è laureato in Medicina Veterinaria nel 1982 presso l'Università di Bologna e ha ottenuto nel 1995 la qualifica di "Diplomato del Collegio Europeo dei Patologi Veterinari". Già Docente di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso l'Università degli Studi di Teramo, è autore di oltre 500 lavori scientifici, 150 dei quali pubblicati su riviste internazionali peer-reviewed. Nutre uno spiccato interesse nei confronti della patologia comparata e della ricerca sulle malattie animali quali potenziali modelli di studio nei confronti delle controparti lesive proprie della specie umana, come l’infezione da SARS-CoV-2.
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