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03 Lug 2017

Design, scienza, arte: parliamo di Officina Corpuscoli

Alessia Colaianni

Alessia Colaianni
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Entrare nel mondo di Maurizio Montalti, anche solo visitando il suo sito, è come trasformarsi in Alice ed esplorare uno strano paese delle meraviglie composto da oggetti vivi, fatti di funghi, alghe e batteri. Maurizio nasce come ingegnere gestionale ma presto capisce di dover iniziare una nuova vita, un’esistenza che implichi la creazione di nuove forme e la riflessione sul mondo che lo circonda. Fa esperienza all’estero e alla fine si stabilisce in Olanda, dove studia design e microbiologia e apre il suo spazio, Officina Corpuscoli, lì dove può esprimere le proprie idee e competenze e la sua naturale inclinazione alla multidisciplinarità. Proprio per questo motivo l’ho intervistato per “Scienza e beni culturali”.

Maurizio Montalti Fonte: Officina Corpuscoli

Entrare nel mondo di Maurizio Montalti, anche solo visitando il suo sito, è come trasformarsi in Alice ed esplorare uno strano paese delle meraviglie composto da oggetti vivi, fatti di funghi, alghe e batteri. Maurizio nasce come ingegnere gestionale ma presto capisce di dover iniziare una nuova vita, un’esistenza che implichi la creazione di nuove forme e la riflessione sul mondo che lo circonda. Fa esperienza all’estero e alla fine si stabilisce in Olanda, dove studia design e microbiologia e apre il suo spazio, Officina Corpuscoli, lì dove può esprimere le proprie idee e competenze e la sua naturale inclinazione alla multidisciplinarità. Proprio per questo motivo l’ho intervistato per “Scienza e beni culturali”.

Come è nata “Officina Corpuscoli”?

È nata dal desiderio di mettere in pratica le ricerche iniziate durante i miei studi. Sono arrivato in Olanda nel 2007-2008 per un Master in Conceptual Design In Context, un percorso che mi ha attirato in quanto volevo agire come designer proponendo una serie di nuovi oggetti che potessero anche invitare alla riflessione. “Beautiful objects” con una consistente componente di racconto, di “storytelling”. A un certo punto ho voluto mettere in discussione la mia posizione a causa della frustrazione provata dovendo lavorare con materiali sintetici, inquinanti, che avevano un fortissimo impatto sull’ambiente. Ho deciso di dedicarmi all’individuazione di nuove alternative derivate da processi naturali che potessero essere immesse nel mercato. In realtà era anche una provocazione: non creare prodotti ma disfarsene, creare strategie per eliminare tutto il residuo delle lavorazioni, il superfluo, che fosse organico o inorganico. Questo è avvenuto approfondendo la conoscenza della “materia funghi”. Una volta laureato ho aperto il mio studio – a quei tempi a Eindhoven – che era ed è, ancora oggi, uno studio di design che si occupa soprattutto di progetti di ricerca che s’intersecano con altri campi applicativi come quello scientifico, tecnologico e antropologico, ma che riceve anche commissioni di tipo più tradizionale. Il focus rimane comunque il lavoro con i microrganismi,principalmente funghi ma anche batteri e alghe.

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De Algarum Natura Fonte: Maurizio Montalti, Officina Corpuscoli
“Officina Corpuscoli”, ora ad Amsterdam, è appunto l’officina, il posto dove si lavora con le mani, sui “corpuscoli”, i microrganismi.

I tuoi progetti sono numerosi e numerosi sono i loro obiettivi e spunti di riflessione. Ad esempio è evidente l’interazione tra design e scienza in “The Growing Lab”, nel quale la crescita del micelio dei funghi viene indirizzata alla costruzione di specifici oggetti, “The Future Plastic”, mostra commissionata dalla Fondazione PLART di Napoli in cui sono indagate alternative attraverso le quali la plastica possa divenire materiale vivo, e in “De Algarum Natura”, sul riutilizzo di alcune specie di alghe per produrre oggetti e tessuti.

I progetti si sviluppano all’interno della disciplina del design, però non sono basati sulla progettazione finalizzata alla forma ma sono indirizzati alla sperimentazione e all’emergenza di nuovi contenuti. Questo avviene grazie all’intersezione con pratiche “aliene”, altre, non usualmente in contatto con la disciplina progettuale, in questo caso parliamo di scienza. Il mio lavoro si posiziona spesso nell’intersezione tra arte, design e scienza, un po’ un luogo ibrido, un territorio di confine. Il discorso scientifico è molto rilevante: la più grande necessità e, nel contempo, la maggiore difficoltà è far rientrare nelle proprie conoscenze teorie e tecniche di un altro campo del sapere, naturalmente sempre con la consapevolezza e umiltà di non essere scienziati . È proprio per questo che nascono le collaborazioni con laboratori e professionisti della ricerca scientifica. Comprenderne le pratiche al fine di utilizzarle per i propri obiettivi significa mettersi in discussione e crescere, continuare a imparare in un processo senza fine. Mette in discussione gli strumenti del design in quanto bisogna far proprie una serie di conoscenze altrui.

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The Growing Lab Fonte: Maurizio Montalti, Officina Corpuscoli

Il fatto di non essere degli esperti ma degli utilizzatori si rivela un vantaggio, permette di affrontare il campo di studi in maniera non ortodossa, con l’approccio del designer su materia viva: un materiale che deve essere compreso grazie all’esperienza diretta, “con le mani”. Si crea così un rapporto stretto, quasi una forma di comunicazione, tra il microrganismo e l’essere umano, anch’esso materia viva, che lo lavora.

La tua professione ti permette di essere a contatto con il mondo dell’industria e della produzione di materiali. Quasi sicuramente il tema della sostenibilità ti avrà toccato. “Continuous Bodies – The Ephemeral Icon”, in cui grazie a un involucro di lana e funghi, una tipica sedia da giardino in plastica si dissolve divenendo fertilizzante, sembra in qualche modo parlare di questo, o sbaglio?

Io ho un po’ un problema con il termine sostenibilità perché purtroppo è una parola che, a mio parere, ha perso il suo significato. È abusata, soprattutto dalle grandi multinazionali che adoperano il tema della sostenibilità per il green washing – strategia di comunicazione finalizzata a costruire un’immagine positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale – o per il marketing verde – commercializzazione di prodotti ritenuti ecologicamente preferibili – e che non viene poi rispecchiato nelle attività che portano avanti. Quando si parla di sostenibilità il pubblico tende a immaginare un processo perfetto, che impiega zero energia ed è completamente “neutro”. Purtroppo sia nei sistemi artificiali, sia in quelli naturali, non esiste nulla che non produca scarto o che sia completamente ottimizzato. Un esempio è il progetto “The Growing Lab”, in cui si fanno crescere materiali che possono essere visti come alternativa preferibile a certi tipi di materiali sintetici. Il materiale è sì 100% naturale e garantisce grandi performance, però viene utilizzata dell’energia per la formazione di questi oggetti e il micelio dei funghi, che dovrebbe sostituire la plastica, sfrutta quest’ultima nello stadio d’incubazione per mantenere un alto grado di umidità. Emergono, quindi, una serie di contraddizioni. Meglio parlare di ecological responsability, di responsabilità ambientale e di necessità di comprendere come noi esseri umani siamo parte di un sistema molto articolato e complesso. Noi non siamo altro dalla Natura. Tutti i progetti citati nascono dalla volontà e dall’interesse di identificare nuove scelte che possano diventare realtà tangibili anche a livello di mercato e che possano avere un impatto positivo sull’ecosistema in cui viviamo e sulla nostra relazione con esso.

Un tuo vecchio lavoro, “Infected”, mi ha molto incuriosita, è quasi divulgativo. In questo caso anelli e bracciali stampati in 3D acquisiscono forma e valore estetico attraverso la contaminazione avvenuta con il contatto con la pelle. Un modo di rendere le persone consapevoli del fatto che i microrganismi, i batteri, sono ovunque e che non dobbiamo averne necessariamente paura.

Quello è un progetto molto semplice ed efficace. Più che circondati, potremmo dire che siamo composti da batteri. È emerso negli ultimi decenni che va completamente messo in discussione l’entità “essere umano”.

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Infected Fonte: Maurizio Montalti, Officina Corpuscoli

L’essere umano è esso stesso ecosistema, qualcosa in continuo divenire, che esiste come risultato dell’interazione di tante forme di vita. Basti pensare che, in termini di quantità, le cellule batteriche superano le nostre cellule in un rapporto di circa 1:10. Questo ci fa riflettere e ci dice che siamo il frutto dell’interazione di batteri, funghi, cellule animali. “Infected”, nella sua semplicità, evidenzia che siamo qualcosa di diverso da ciò che crediamo di essere e dobbiamo mostrare molto più rispetto per tutte le forme di vita, anche quelle microscopiche, che spesso percepiamo come potenziali minacce quando, effettivamente, solo alcune sono causa di patologie. Io uso spesso l’analogia con il calcio: tra i tifosi di una squadra ci sono i supporter, la maggioranza, e gli hooligan, una minoranza. Sono gli ultimi che solitamente sono nelle prime pagine dei giornali, accentuando la confusione tra “buoni” e “cattivi”.

Secondo te qual è il futuro dell’unione tra arte, scienza e design?

Io mi auguro che si verifichi sempre più un’apertura reciproca da parte dei diversi ambiti del sapere. Quando io ho iniziato a ragionare su questi tipi di processi e a collaborare con partner scientifici, era molto difficile individuare qualcuno che fosse disposto anche solo ad ascoltarmi per un confronto, un dialogo. Ora sono passati alcuni anni e la situazione non è cambiata tantissimo, però è cambiata la sensibilità: una nicchia ora accetta l’incontro tra design e scienza e i suoi frutti, i suoi risultati benefici. Se penso, però, ai giovani designer, ai miei studenti, mi rendo conto che è ancora molto complicato per un creativo raccogliere la fiducia di uno scienziato, che spesso purtroppo tende a vedere la specificità di ciò che avviene “nella propria piastra di Petri” invece che immaginare e provare a dare vita ad altre applicazioni. C’è anche da dire che l’evoluzione tecnologica, l’introduzione delle biotecnologie nelle industrie per la ricerca di fonti rinnovabili e materiali dal basso impatto ambientale, il sostegno dei programmi governativi a questo tipo d’iniziative, è un passo importante e positivo verso lo sviluppo del dialogo tra scienza e design.

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The Future of Plastic Fonte: Maurizio Montalti, Officina Corpuscoli

Io stesso ho fondato un’azienda, la Mycoplast di Inarzo (Varese) , in cui stiamo mettendo in scala la produzione di alcuni materiali compositi derivati da materiali di scarto e ceppi selezionati di funghi, standardizzandone i processi per una serie di settori specifici, con l’ambizione di ottenere di prodotti dai costi competitivi rispetto ai tradizionali corrispettivi sintetici. È bello poter esporre i propri oggetti in gallerie e musei, parlare con l’audience culturale ma, per avere un vero impatto, il design deve sentire la responsabilità di complicarsi la vita e raggiungere risultati tangibili per l’intera comunità.

Oggi il mio arrivederci alla prossima settimana sarà particolare: il video dei Gesture book di Maurizio Montalti, un lavoro ispirato dalla gestualità, a volte eccessiva, di noi italiani.

bellissimo – “passion in movement” – how to speak italian without saying a word from Officina Corpuscoli on Vimeo.

Divertente, vero? A lunedì prossimo!

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Alessia Colaianni
Alessia Colaianni
Giornalista pubblicista, si è laureata in Scienza e Tecnologia per la Diagnostica e Conservazione dei Beni Culturali e ha un dottorato in Geomorfologia e Dinamica Ambientale. Divulga in tutte le forme possibili e, quando può, insegna.
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