Da decenni un mistero circondava i fossili di anchilosauro, un dinosauro erbivoro corazzato: i suoi resti venivano spesso ritrovati a pancia all’aria. Gli scienziati si sono chiesti se fosse un caso o un’evidenza tafonomica da approfondire (la tafonomia è la scienza che studia i processi di trasformazione degli organismi dopo la morte, compresi quelli di fossilizzazione). Gli sviluppi di questa ricerca non sono stati affatto banali.
Da decenni un mistero circondava i fossili di anchilosauro, un dinosauro erbivoro corazzato: i suoi resti venivano spesso ritrovati a pancia all’aria. Gli scienziati si sono chiesti se fosse un caso o un’evidenza tafonomica da approfondire (la tafonomia è la scienza che studia i processi di trasformazione degli organismi dopo la morte, compresi quelli di fossilizzazione). Gli sviluppi di questa ricerca non sono stati affatto banali.
Il mistero dell’anchilosauro
Gli anchilosauri sono dinosauri erbivori, comparsi nel Giurassico e giunti sino al Cretaceo con vistose evoluzioni nella propria struttura: già dotati di una vera e propria corazza di placche ossee sul dorso, con il passare del tempo svilupparono una grossa escrescenza sulla punta della coda, probabilmente adoperata come arma di difesa. Una storia un po’ particolare era legata ai resti di questi antichi animali: da osservazioni datate 1930 sembrava che i fossili di anchilosauro fossero per la maggior parte a pancia in su ma mai nessuno aveva controllato se questo dato fosse statisticamente valido e quale potesse essere la ragione di questa posizione. Un paleontologo del Canadian Museum of Nature, Jordan Mallon, ha deciso di capire quali fossero le verità scientifiche nascoste dietro questo mistero.
La quattro teorie
Il primo passo è stato quello di accertarsi che effettivamente la maggior parte di fossili di anchilosauro si presentasse con il dorso rivolto verso il basso: su 32 anchilosauri esaminati, 26 erano stati ritrovati in questo assetto. A questo punto si è potuti passare alla fase successiva, ossia capire il motivo di questa caratteristica nei ritrovamenti. Lo scienziato si è concentrato su quattro teorie:
- l’anchilosauro forse si muoveva in maniera goffa, tanto da inciampare o scivolare lungo i pendii e morire, di fatto, rovesciato;
- questo robusto erbivoro poteva essere stato preda di dinosauri carnivori, come i tirannosauri, che per avere accesso alla parte più morbida e facilmente attaccabile, il ventre, li avrebbero capovolti;
- la terza idea, già proposta negli anni Ottanta, vede come modello di riferimento un animale attualmente esistente, l’armadillo. Questi mammiferi, anch’essi dotati di una corazza, purtroppo sono spesso investiti dalle automobili. Secondo questa ipotesi, le carcasse sui lati della strada inizierebbero a marcire, gonfiarsi, poiché accumulano gas dovuti alla decomposizione, fino ad allargarsi e a sbilanciarsi tanto da rotolare sul dorso. La stessa cosa sarebbe potuta accadere agli anchilosauri;
- infine c’è l’ipotesi del “bloat-and-float” (gonfiarsi e galleggiare) per cui il corpo degli anchilosauri sarebbe finito in corsi d’acqua o in mare, dove si sarebbe gonfiato e sarebbe quindi divenuto instabile fino a capovolgersi, affondare o venire depositato sulla riva.
Quale di queste teorie sarà risultata la più probabile?
Un po’ di citizen science, la soluzione e il metodo scientifico
La prima ipotesi esposta è stata subito scartata: un animale vissuto per ben 100 milioni di anni non sarà stato certo così maldestro. Per quanto riguarda l’attacco da parte di carnivori, ci sarebbero dovuti essere segni di morsi sul ventre, dettaglio riscontrato solo su uno dei fossili analizzati. E il modello dell’armadillo? Studiato in occasione di questa ricerca in maniera più approfondita da due esperti, Colleen McDonough e Jim Loughry della Valdosta State University della Georgia, ha mostrato di non essere la giusta risposta al quesito posto: i due scienziati hanno dimostrato che gli armadilli morti non rotolano sul dorso. Un risultato ottenuto dopo tre mesi passati a coinvolgere amici, parenti e conoscenti nel reperimento delle carcasse prima che venissero schiacciate dalle automobili o divenissero lauto pasto di altri animali – quasi un progetto di citizen science – e dopo aver osservato la progressione delle fasi di deperimento dei resti raccolti nel proprio giardino (immaginiamo con somma gioia del vicinato).
Rimane la teoria del “bloat-and-float”. Donald Henderson del Royal Tyrell Museum di Drumheller, in Canada, ha creato due modelli digitali in 3D per le due famiglie di anchilosauri, gli anchilosauridi e i nodosauridi, i quali differiscono per la conformazione della coda che, come abbiamo accennato all’inizio, nel primo caso è “armata”. Secondo la simulazione effettuata, seppur con maggiore resistenza rispetto ai nodosauridi, i corpi degli anchilosauridi, senza vita e gonfi d’aria, si sarebbero potuti rivoltare a causa di un’onda particolarmente forte o del tocco di un predatore.
Ecco la soluzione. Del resto questa teoria corrisponde a ciò che sappiamo dell’ambiente in cui vivevano questi dinosauri, vicino all’acqua.
La ricerca descritta, pur partendo da una domanda che sembra essere scaturita da pura curiosità, ha fornito informazioni importanti sul trasporto dei dinosauri morti che, a sua volta, è un dato rilevante nello studio degli ecosistemi fossili. Questo lavoro è anche un classico quanto squisito esempio di applicazione del metodo scientifico con l’esame di ipotesi alternative, il disegno di esperimenti per testarle e il loro controllo finale.
Sono umani, invece, i fossili della storia raccontata nell’articolo di Pasquale Pellegrini e Günter Kaufmann, “Ötzi, l’Uomo venuto dal ghiaccio”, che potrete acquistare e leggere singolarmente o nel numero di aprile 2017 di Sapere.
L’illustrazione rappresenta un Euoplochephalus, un esempio di anchilosauro. Credits: Brett Booth © Brett Booth