La vittoria di Trump era davvero così imprevedibile? Forse no, stando alle previsioni di un modello computazionale che, addirittura l’anno scorso, aveva pronosticato l’entrata di un repubblicano alla Casa Bianca.
La vittoria di Trump era davvero così imprevedibile? Forse no, stando alle previsioni di un modello computazionale che, addirittura l’anno scorso, aveva pronosticato l’entrata di un repubblicano alla Casa Bianca. Il modello, sviluppato per l’agenzia di stampa Reuters, tiene conto di una serie di fattori, soprattutto che il candidato alla presidenza che appartenga allo stesso partito del Presidente uscente abbia una probabilità tre volte minore di vittoria. Inoltre, la popolarità di Barack Obama era troppo bassa per suggerire che un suo successore fosse “imparentato” politicamente a lui.
I limiti dei sondaggi
Analizzando secondo medie storiche i risultati dei sondaggi, ora nel mirino della critica dopo la scarsa affidabilità dimostrata, si possono fare interessanti osservazioni: secondo le analisi compiute dalla Ipsos su 300 poll provenienti da 40 mercati dal 1980 ad oggi, i dati dei sondaggi a grandi distanze dal giorno delle elezioni (ad esempio: 12 mesi prima) avrebbero un’imprecisione che arriva fino all’8 per cento dai risultati finali reali, uno scostamento divario che poi si assottiglia, riducendosi sempre di più fino a raggiungere l’1,7 per cento a distanza di una sola settimana dal voto. E uno errore di 1,7 per cento può diventare decisivo, quando ci sono in ballo elezioni molto equilibrate in cui i candidati potrebbero vincere solo con due-tre punti di differenza.
I modelli matematici
Il modello della Reuters ha sfruttato i dati del passato, analizzando 25 elezioni (cento anni) e identificando pattern per poi fare previsioni. Inoltre, il database è stato arricchito aggiungendo dati relativi a centinaia di elezioni presidenziali e parlamentari in paesi democratici di tutto il mondo, arrivando ad avere un campione di oltre 450 elezioni di 35 nazioni. Da questa analisi è risultato che il candidato dello stesso partito del presidente in carica ha, come si diceva, una probabilità tre volte inferiore di essere eletto e che la popolarità del presidente in carica può influire positivamente sulle chances del candidato del suo partito, ma solo se l’indice di gradimento della sua leadership super il 55 per cento circa. Anche se, forse, considerando che in base a una analisi Gallup l’indice di popolarità di Obama era del 56 per cento pochi giorni fa, questo fattore, col senno di poi, potrebbe non essere poi così determinante. C’è da dire che il modello Reuters, comunque, guardava più al partito che al candidato, calcolando le probabilità che ci fosse un’alternanza politica al vertice (indipendentemente dalle caratteristiche del candidato). Non aveva previsto la risalita, rispetto all’anno scorso, della popolarità di Obama e, quindi, assegnava alla Clinton ottime probabilità di vittoria se solo il Presidente uscente fosse riuscito ad essere più gradito ai suoi elettori. Cosa che è avvenuta: quindi, in un certo senso, il modello Reuters ci ha preso, ma solo fortuitamente – anche considerando che proprio un aggiornamento della scommessa Reuters, pubblicato pochi giorni fa, invertiva la tendenza e dava la Clinton vincitrice al 95 per cento con 278 voti (la soglia minima per la vittoria è 270).
Si pensi, per esempio, che ha fallito anche il modello della Moody’s Analytics, che era riuscito a indovinare i vincitori delle ultime nove presidenziali Usa. Secondo questo modello, l’alto indice di popolarità di Obama (ancora lui) e il basso prezzo del carburante avrebbero decretato la vittoria di Hillary Clinton, che si sarebbe aggiudicata 332 voti elettorali contro i 206 di Trump (è finita invece 218 a 290). Il modello di Moody’s, che si basa su una combinazione di fattori sintomatici dello stato dell’economia e su dati storici politici, ha “sbagliato” più del modello Reuters-Ipsos, facendosi influenzare molto (anche qui) dalla crescita della popolarità di Obama negli ultimi mesi.
Insomma, sembra che, alla fine, nessuno sia riuscito a tirare fuori un’equazione vincente. Capita, quando una delle incognite è Donald Trump.