Un gruppo di ricerca dell’Istituto di Microelettronica e Microsistemi del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Catania (CNR-IMM) coordinato da Alessandra Alberti e da Antonino La Magna, in collaborazione con gli scienziati dell’Istituto di nanotecnologia del CNR di Lecce (CNR-Nanotec) guidati da Silvia Colella, ha raggiunto un’importante innovazione nel campo del fotovoltaico ibrido a perovskite, grazie all’impiego dell’azoto. Lo studio è pubblicato sulla rivista Advanced Energy Materials.
Un gruppo di ricerca dell’Istituto di Microelettronica e Microsistemi del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Catania (CNR-IMM) coordinato da Alessandra Alberti e da Antonino La Magna, in collaborazione con gli scienziati dell’Istituto di nanotecnologia del CNR di Lecce (CNR-Nanotec) guidati da Silvia Colella, ha raggiunto un’importante innovazione nel campo del fotovoltaico ibrido a perovskite, grazie all’impiego dell’azoto. Lo studio è pubblicato sulla rivista Advanced Energy Materials.
Il fotovoltaico ibrido e le celle perovskitiche
Cos’è il fotovoltaico ibrido? Le celle fotovoltaiche ibride sono delle celle in grado di combinare le caratteristiche (e i vantaggi) di quelle inorganiche, costituite da semiconduttori inorganici come il silicio, e quelle organiche, con semiconduttori organici quali composti di carbonio o polimeri. In particolare, le celle perovskitiche sono prodotte con un materiale avente la struttura della cella cristallina dell’omonimo minerale, la perovskite (CaTiO3). Questa tecnologia soffre però di un grave problema: l’efficienza, dai valori molto elevati inizialmente, è soggetta a notevoli perdite a causa dell’esposizione alla luce ultravioletta e all’umidità. Il sole, la pioggia, la nebbia, degradano queste celle fino alla completa perdita di funzionalità, che avviene in un intervallo di tempo molto limitato. I ricercatori del CNR hanno trovato una soluzione.
Una tecnologia da migliorare
Le perovskiti ibride sono materiali innovativi sensibili alla luce solare con alte performance di conversione fotone-elettrone. “L’effetto dirompente della tecnologia che utilizza tale materiale ibrido (organico-inorganico), ideata nel 2009 dal professore Tsutomu Miyasaka in Giappone presso l’Università di Yokohama, si evince dalla rapida crescita dell’efficienza di conversione di energia ottenuta grazie ad essa, pari al +9% negli ultimi 8 anni di attività di ricerca. Il record attuale di efficienza certificata, nel palinsesto mondiale, ha raggiunto il 23,7%”, ha premesso Alessandra Alberti, “La prospettiva di una distribuzione capillare di celle solari a perovskite ad alta efficienza, a basso peso, flessibili e colorate sta alimentando grandi aspettative e investimenti nel settore pre-industriale per il lancio di forme di energia immediatamente disponibili, trasportabili e a basso costo. Grande impatto è inoltre previsto nel settore dell’Integrated Building Photovoltaics per il ricoprimento di superfici estese di edifici. A fronte di una tale rivoluzione, le celle solari a perovskite hanno per il momento una bassa vita media, se confrontate alla tecnologia consolidata delle celle in silicio, a causa della instabilità nel tempo dell’architettura reticolare del materiale foto-assorbente. La mancata stabilità delle prestazioni nel tempo rappresenta, pertanto, il primo limite per una rapida e diffusa affermazione di mercato”.
Azoto contro il degrado delle celle
Qui entra in gioco la scoperta dei ricercatori del CNR: “Tecniche avanzate di diagnostica ad ampio spettro dimostrano come si possa finalizzare l’introduzione controllata di molecole di azoto dentro la perovskite allo scopo di occupare i cosiddetti siti di degrado per stabilizzare l’architettura atomica del materiale”, ha proseguito Alberti. “Oltre al potere stabilizzante esercitato da forze elettrostatiche in condizioni di funzionamento della cella solare, l’azoto ha anche la capacità di mitigare l’insorgenza di nuovi difetti reticolari, ovvero di imperfezioni nella ‘periodicità’ dell’architettura atomica che causano una riduzione del potere di cattura dei fotoni e una lenta trasformazione del materiale a discapito della vita media delle celle”.
Una soluzione economica e atossica
Dall’aggiunta dell’azoto alla perovskite, insomma, risulta un aumento complessivo delle prestazioni dei dispositivi con essa realizzati. L’aspetto innovativo consiste nella facile applicabilità, nel basso costo e nella completa atossicità della soluzione tecnologica con azoto. “Rispetto ad altre più complesse alternative esistenti nel panorama scientifico ed applicativo, l’infiltrazione di azoto nelle perovskiti consentirebbe inoltre di uniformare discrepanze di rendimento tra materiali prodotti nei diversi laboratori e di aumentare la resa in assorbimento dei fotoni durante il funzionamento sotto irraggiamento solare”, ha concluso la ricercatrice. “Una doppia valenza, quindi: stabilizzazione della struttura atomica e aumento delle performance dei dispositivi ad opera di una piccola e semplice molecola esistente in natura, da sperimentare presto nel mercato delle future tecnologie”.
Se vi interessano le energie pulite, vi consigliamo di acquistare e leggere l’articolo di Viviana Ferrario “I nuovi paesaggi delle energie rinnovabili”, pubblicato nel numero di giugno 2017 di Sapere.