Una delle maggiori sfide della scienza e della tecnologia è la ricerca diretta della materia oscura. L’esperimento XENON1T dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare ha permesso di raccogliere dei risultati incoraggianti, presentati al pubblico recentemente e sottomessi alla rivista Physics Review Letters. Cos’è la materia oscura e perché è così difficile studiarla? Scopriamolo insieme.
Una delle maggiori sfide della scienza e della tecnologia è la ricerca diretta della materia oscura. L’esperimento XENON1T dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare ha permesso di raccogliere dei risultati incoraggianti, presentati al pubblico recentemente e sottomessi alla rivista Physics Review Letters. Cos’è la materia oscura e perché è così difficile studiarla? Scopriamolo insieme.
Il lato oscuro dell’Universo
Fino a oggi gli strumenti a nostra disposizione ci hanno permesso di identificare meno di un quinto della materia presente nel nostro Universo. Rimane un “lato oscuro”, una porzione di materia differente da quella che potremmo definire “ordinaria”, la quale non emette e non assorbe nessun tipo di radiazione osservabile con le tecnologie sviluppate sinora: è la materia oscura.
{youtube}https://www.youtube.com/watch?v=Af0_vWDfJwQ{/youtube}
Quali indizi abbiamo a sostegno della sua esistenza? Siamo riusciti a osservare gli effetti gravitazionali che essa esercita sulla materia ordinaria. Negli anni sono state formulate varie teorie sulla sua natura e, alcune di queste, ipotizzano che le particelle di materia oscura possano essere le cosiddette WIMP (Weakly Interacting Massive Particles), particelle massive che interagiscono debolmente.
Proprio per questo motivo, le WIMP sono una classe di particelle ricercate da molti esperimenti: dall’acceleratore LHC (Large Hadron Collider) del CERN- Conseil européen pour la recherche nucléaire, a rivelatori a terra, in laboratori sotterranei come i Laboratori Nazionali del Gran Sasso o in orbita nello spazio a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Anche se ci si attende un flusso di un miliardo di WIMP per secondo in un’area di un metro quadrato, queste particelle sono comunque estremamente difficili da rivelare.
L’esperimento XENON
Uno degli esperimenti a caccia di WIMP è XENON, una collaborazione nata nei primi anni del 2000 e che comprende il lavoro di 165 scienziati provenienti da 12 nazioni, i quali hanno costruito tre rivelatori al xenon liquido, sempre più sensibili. L’ultimo, XENON1T, è la più potente e grande apparecchiatura di questo tipo realizzata. È un rivelatore cilindrico, di circa un metro di diametro e altezza, riempito di xenon liquido alla temperatura di -95 °C, con una densità tre volte maggiore di quella dell’acqua. In XENON1T la prova della interazione di una WIMP con un nucleo di xenon è data da un debole lampo di luce di scintillazione accompagnato da una “manciata” di elettroni, i quali a loro volta sono convertiti in un altro segnale luminoso. Entrambi gli impulsi sono registrati grazie a fotosensori ultrasensibili, ottenendo l’informazione sulla posizione e l’energia di ciascun evento. Nello sviluppo di questo particolare tipo di rivelatori per la ricerca del raro segnale da WIMP è necessario superare molte sfide sperimentali tra cui vi è la riduzione del fondo, un segnale proveniente dall’interazione con i nuclei di xenon di altre particelle generate da sorgenti quali la radioattività dei materiali e i raggi cosmici. XENON1T presenta il più basso fondo mai ottenuto.
{youtube}https://www.youtube.com/watch?v=9YMGZAKv11Q{/youtube}
Gli ultimi risultati
I risultati di XENON1T mostrano che, se le WIMP davvero compongono la materia oscura della nostra galassia, la loro interazione è così debole che anche il rivelatore più grande realizzato fino a ora non riesce a osservarle direttamente. “I dati osservati dall’esperimento – spiega Elena Aprile, professoressa della Columbia University, a capo della collaborazione XENON, nell’intervista pubblicata nel comunicato stampa ufficiale dell’INFN – sono in accordo con le previsioni del piccolo fondo atteso, vale a dire quegli eventi simili a un’interazione di particelle di materia oscura ma dovuti invece a particelle di natura nota, che dobbiamo essere in grado di riconoscere. Questo risultato permette di fissare un nuovo limite, più stringente, alle possibili interazioni con la materia ordinaria per le WIMP, la classe di candidati di particelle di materia oscura che ricerchiamo con il nostro esperimento”. I risultati della ricerca, sottomessi alla rivista Physics Review Letters, provengono da un bersaglio di 1300 kg (dei 2000 kg totali attivi) e 279 giorni di acquisizione dati. Si attendevano solamente due eventi dal fondo nel volume più interno, la regione più pura del rivelatore, ma non ne è stato registrato nessuno, permettendo così di ottenere il miglior limite per le WIMP di massa superiore a 6 GeV/c2.
XENON1T continuerà ad acquisire dati di alta qualità e la ricerca proseguirà fino a che il rivelatore sarà migliorato con uno analogo di dimensioni maggiori, XENONnT. Quest’ultimo sarà pronto nel 2019, per iniziare una nuova esplorazione della materia oscura, con un livello di sensibilità che nessuno poteva immaginare nel 2002, quando il progetto è iniziato.
La materia oscura è ricercata anche nello spazio. Viaggiamo anche noi tra pianeti e stelle grazie all’articolo “Fotoracconto dello spazio” di Ettore Perozzi che potrete leggere acquistandolo singolarmente o nel numero di agosto 2017 di Sapere.