Un vaccino mosaico ben tollerato e che genera risposte immunitarie paragonabili e solide contro l’HIV in adulti sani e scimmie rhesus. Le sue prime fasi di messa a punto sono descritte in un articolo pubblicato su The Lancet. Cos’è un vaccino mosaico? Qual è il tipo di virus che dovrebbe contrastare? Scopriamolo insieme.
Un vaccino mosaico ben tollerato e che genera risposte immunitarie paragonabili e solide contro l’HIV in adulti sani e scimmie rhesus. Le sue prime fasi di messa a punto sono descritte in un articolo pubblicato su The Lancet. Cos’è un vaccino mosaico? Qual è il tipo di virus che dovrebbe contrastare? Scopriamolo insieme.
HIV/AIDS: una storia lunga 35 anni
Atlanta, 1981. I Centers for Disease Control and Prevention (CDC) riportano sul Morbidity and Mortality Weekly Report, il loro bollettino epidemiologico, un incremento repentino e inspiegabile di casi di polmonite dovuta al fungo Pneumocystis carinii. Successivamente vengono segnalati, sempre ai CDC, nuovi casi di pazienti che soffrono di un raro tumore dei vasi sanguigni, il sarcoma di Kaposi. Inizia a essere evidente che i medici si stanno trovando di fronte a una nuova malattia e presto viene costituita un’apposita task force. Il fattore comune in tutti i pazienti è l’omosessualità e subito si pensa che la patologia riguardi solo loro ma, dopo poco tempo, è evidente che questo male sconosciuto riesca a contagiare anche altri gruppi e con modalità diverse dalla trasmissione sessuale quali, ad esempio, le trasfusioni di sangue infetto negli emofiliaci, individui portatori di un difetto ereditario nei processi di coagulazione del sangue.
Nel 1983 è ormai chiaro che l’epidemia interessa tutti e che si sta diffondendo al di là dei confini americani. Nel maggio dello stesso anno il virologo Luc Montagnier, nei laboratori dell’Istituto Pasteur di Parigi, riesce a isolare un nuovo virus, il possibile agente responsabile della trasmissione della malattia. Il microrganismo viene isolato dalle cellule coltivate in laboratorio di un paziente con linfonodi ingrossati, privo però di alcun sintomo della misteriosa e temibile patologia.
{youtube}https://www.youtube.com/watch?v=FDVNdn0CvKI{/youtube}
Il virus viene quindi inviato dapprima ai CDC di Atlanta, analizzato e denominato LAV (Virus Associato a Linfoadenopatia), e in seguito al National Cancer Institute di Bethesda, per ulteriori ricerche. Il 22 aprile 1984, i CDC dichiarano pubblicamente che il virus francese LAV è stato definitivamente identificato come la causa della patologia dai ricercatori dell’Istituto Pasteur. Anche presso gli Health and Human Services qualcosa bolle in pentola: Robert Gallo, direttore del laboratorio di biologia cellulare dei tumori del National Cancer Institute, ha a sua volta isolato da pazienti malati il virus candidato a essere il responsabile della malattia, denominandolo HTLV-III (Human T-lymphotropic virus-Virus umano della leucemia a cellule T di tipo III): è parte di una famiglia di retrovirus identificata dallo stesso Gallo, costituita da virus che infettano i linfociti T umani e che sembrano essere coinvolti nella loro proliferazione anomala. Nei primi mesi del 1985 vengono pubblicati numerosissimi lavori sui due virus, i quali si rivelano essere lo stesso microrganismo. Nel 1986 un comitato internazionale stabilisce un nuovo nome per indicare il virus dell’AIDS: è HIV, Human Immunodeficiency Virus, in italiano “Virus dell’Immunodeficienza Umana”.
La malattia oggi
Cosa sappiamo oggi dell’AIDS (Acquired Immune Deficiency Syndrome – Sindrome da ImmunoDeficienza Acquisita) e del virus che la causa? L’HIV si trasmette tramite rapporti sessuali non protetti, contatto con sangue, trasmissione verticale tra madre e bambino durante la gravidanza, il parto e l’allattamento al seno. Il virus ha una elevata capacità di replicazione, soprattutto nelle prime fasi dell’infezione: per far questo sfrutta i globuli bianchi, distruggendoli e lasciandone l’organismo privo, quindi riducendo le difese immunitarie di chi ha subìto il contagio. Dal contatto con l’HIV allo sviluppo della vera e propria patologia possono trascorrere anche molti anni. La diagnosi di infezione da HIV può essere svolta con un test del sangue in grado di rilevare la presenza di anticorpi specifici del virus. Non esistono cure e il trattamento dell’infezione consiste in un controllo del virus attraverso una combinazione di farmaci che blocca la sua replicazione, riducendo la carica virale e, conseguentemente, rallentando la distruzione del sistema immunitario. Attualmente quasi 37 milioni di persone in tutto il mondo convivono con l’HIV/AIDS e ogni giorno vengono diagnosticati 1,8 milioni di nuovi casi. È evidente l’urgenza di produrre un vaccino sicuro ed efficace.
Il nuovo vaccino
Non esiste una profilassi vaccinale per l’HIV-1, il ceppo maggiormente diffuso in Europa, Africa centrale e America. Finora i tentativi di mettere a punto un vaccino si sono scontrati con una bassa efficacia e le prove sono complicate dall’ovvia impossibilità di infettare sperimentalmente l’uomo con l’HIV, e che lo stesso virus non attecchisce nelle scimmie, in cui devono essere usati virus analoghi. Oltre alle difficoltà tecniche, questo ha impedito il passaggio alle fasi più avanzate della sperimentazione vaccinale. Tuttavia i ricercatori, autori dell’articolo pubblicato su The Lancet, hanno messo a punto un vaccino mosaico per l’HIV-1 e condotto uno studio parallelo tra pazienti umani e scimmie rhesus (Macaca mulatta) per definire il regime vaccinale ottimale per migliorare l’efficacia della sperimentazione clinica. Cosa significa “mosaico”? Il ceppo usato non deriva da un HIV, ma da un adenovirus, detto Ad26, molto meno pericoloso e non infettivo per l’uomo. Gli adenovirus sono molto utilizzati a questo scopo: basti pensare che anche il vaccino contro l’Ebolavirus si basa proprio su un altro adenovirus. Sull’Ad26 sono state innestate diverse proteine dell’HIV, in modo che il nostro sistema immunitario possa riconoscerle ed entrare in azione in un potenziale contatto futuro con le diverse forme del temibile patogeno.
L’esperimento e i risultati
La sperimentazione ha previsto la partecipazione di 393 adulti sani, non infetti, di età compresa tra i 18 e i 50 anni, provenienti da 12 cliniche dell’Africa orientale, Sudafrica, Thailandia e Stati Uniti tra febbraio 2015 e ottobre 2015. I volontari sono stati scelti in maniera casuale per ricevere una delle sette combinazioni di vaccini o un placebo, e sono state somministrate loro una vaccinazione e 3 richiami, secondo modalità diverse. I risultati hanno mostrato che tutti i regimi vaccinali testati sono stati in grado di generare una risposta immunologica anti-HIV in individui sani e sono anche stati ben tollerati, visto che sono state registrate reazioni locali o sistemiche da lievemente a moderatamente gravi. Solo 5 partecipanti hanno riportato dolori addominali e diarrea, vertigini posturali e dolore alla schiena. Non sono stati registrati eventi avversi o morte dei pazienti.
Le scimmie, invece, sono state infettate con un virus molto simile all’HIV, chiamato SHIV, e il livello di efficacia è stato molto alto.
In generale, i risultati sono stati talmente incoraggianti che è stata avviata la fase successiva della sperimentazione, che coinvolgerà 2600 volontari.
Tuttavia ci sono ancora alcune ombre: non è ben chiara la rilevanza della protezione vaccinale nelle scimmie rhesus contro un virus che non è esattamente l’HIV. Inoltre, serve ancora della ricerca di base sul virus perché non sono del tutto chiari i meccanismi con cui il nostro sistema immunitario reagisce al contatto con esso.
La svolta, però, dopo 35 anni di morte e di paura, sembra finalmente essere arrivata.
Immagine di copertina: micrografia al microscopio elettronico a scansione di HIV-1 (in verde) su linfociti in coltura. Credit: C. GoldsmithContent Providers: CDC/ C. Goldsmith, P. Feorino, E. L. Palmer, W. R. McManus [Public domain], via Wikimedia Commons