Il virus Zika ha destato preoccupazione soprattutto nelle donne incinte a causa delle anomalie nel cervello dei feti che si è dimostrato in grado di produrre. Una nuova ricerca, tuttavia, suggerisce che potrebbe attaccare anche le cellule del cervello degli adulti.
Il virus Zika, finora, ha destato preoccupazione soprattutto nelle donne incinte a causa delle anomalie nel cervello dei feti che si è dimostrato in grado di produrre. Una nuova ricerca, tuttavia, suggerisce che anche le cellule del cervello degli adulti potrebbero essere vulnerabili all’infezione.
Lo studio, condotto dagli scienziati della Rockfeller University e del La Jolla Institute for Allergy and Immunology, è il primo a focalizzarsi sugli effetti dell’infezione da Zika virus sul cervello adulto ed è stato condotto sui topi. I risultati della ricerca, pubblicata sulla rivista Cell Stem Cell, suggeriscono la possibilità che il virus che si è diffuso in America centrale e meridionale negli ultimi otto mesi potrebbe essere più dannoso del previsto.
Il virus Zika colpisce le cellule staminali del cervello, ossia quelle cellule progenitrici dei neuroni che, nelle prime fasi della gestazione, quando il nostro cervello non è ancora completamente sviluppato in un organo complesso con zone specializzate, sono molto abbondanti. Le cellule staminali svolgono però una funzione importante non solo nella fase fetale ma anche in quella adulta, andando a rimpiazzare i neuroni, laddove necessario, durante tutto l’arco della vita.
E’ per questo che il cervello maturo conserva delle piccole sacche di cellule progenitrici neurali e proprio queste potrebbero essere danneggiate dal virus Zika. Nei topi, queste sacche sono essenzialmente in due regioni, la zona subventrale del prosencefalo anteriore e la zona subgranulare dell’ippocampo, ed esse hanno importanza per l’apprendimento e la memoria. Gli scienziati hanno scoperto che il virus Zika agisce su queste popolazioni cellulari, con effetti dannosi sulla neuroplasticità, causando deficit associati a condizioni neuropatologiche cognitive come la depressione e il morbo di Alzheimer.
Gli scienziati ritengono che gli esseri umani sani siano tuttavia in grado di sviluppare una reazione immunitaria efficace contro l’infezione, tuttavia pensano che le persone con sistema immunitario indebolito possano essere vulnerabili al virus in un modo che non è stato ancora esplorato con chiarezza. “Nei casi più delicati, il virus potrebbe teoricamente avere un impatto sulla memoria a lungo termine o potrebbe aumentare il rischio depressione e le autorità sanitarie dovrebbero dunque approntare misure di controllo per tutti i gruppi di pazienti a rischio, non solo per le donne in gravidanza“ ha spiegato infatti Joseph Gleeson, tra gli autori della ricerca.