Il momento in cui si introduce il glutine, nella fase di svezzamento di un neonato, è ininfluente rispetto allo sviluppo della malattia celiaca. A sostenerlo, un nuovo studio italiano pubblicato sulla rivista New England Journal of Medicine.
Il momento in cui si introduce il glutine, nella fase di svezzamento di un neonato, è ininfluente rispetto allo sviluppo della malattia celiaca. A sostenerlo, un nuovo studio italiano pubblicato sulla rivista New England Journal of Medicine.
La ricerca condotta da Elena Lionetti e colleghi del dipartimento di Scienze mediche e pediatriche dell’Università di Catania ha coinvolto 707 bambini nati tra il 2003 e il 2008 e che sono stati seguiti per dieci anni. I risultati hanno mostrato che introdurre il glutine a 12 mesi, piuttosto che a 6 mesi, non ha effetti sul rischio di sviluppare celiachia, che resta lo stesso. Una introduzione posteriore, tuttavia, ritarda lo sviluppo della patologia.
Inoltre, gli scienziati hanno anche confermato che l’allattamento al seno non aiuta a prevenire la celiachia e che la presenza del genotipo HLA è associata a un rischio più alto di malattia celiaca.
Secondo le statistiche, questo disturbo autoimmune ha una diffusione di circa l’1 per cento in Europa e in Nord America. Finora, gli scienziati avevano ipotizzato che il latte materno potesse avere una funzione protettiva sullo sviluppo delle malattie autoimmuni e che l’allargamento del cosiddetto “periodo finestra” (che prevede l’introduzione del glutine nell’alimentazione del bambino tra il quarto e il sesto mese di vita) potesse contribuire in qualche modo ad abbassare il rischio di sviluppo della patologia