Molti pazienti affetti da depressione o disturbi d’ansia vivono stati d’animo negativi che li portano a focalizzare l’attenzione sui possibili svantaggi di una data situazione, invece che sui benefici potenziali. I neuroscienziati del MIT-Massachusetts Institute of Technology hanno localizzato una regione del cervello che può generare questa tipologia di risposta pessimista. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Neuron.
Molti pazienti affetti da depressione o disturbi d’ansia vivono stati d’animo negativi che li portano a focalizzare l’attenzione sui possibili svantaggi di una data situazione, invece che sui benefici potenziali. I neuroscienziati del MIT-Massachusetts Institute of Technology hanno localizzato una regione del cervello che può generare questa tipologia di risposta pessimista. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Neuron.
Depressione e ansia: i numeri in Italia
Prima di descrivere lo studio del MIT e comprenderne le implicazioni e gli sviluppi futuri, è bene farsi un’idea di quanto alcuni disturbi neuropsichiatrici siano frequenti. Secondo i dati raccolti in Italia tra il 2015 e il 2017 e pubblicati lo scorso luglio sul sito dell’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica), la depressione è la patologia mentale più diffusa. Si stima che nel nostro paese le persone affette da questo male, nel corso del 2015, abbiano superato i 2,8 milioni (5,4% delle persone di 15 anni e più) e siano 1,3 milioni (2,5%) coloro che hanno presentato i sintomi della depressione maggiore nelle due settimane precedenti l’intervista. Inoltre la depressione è spesso associata all’ansia cronica grave: è stato valutato che il 7% della popolazione oltre i 14 anni (3,7 milioni di persone) abbia sofferto nell’anno di disturbi ansioso-depressivi.
Forme gravi di depressione possono portare al suicidio: il tasso di mortalità, sempre in Italia, è pari a 6 per 100.000 residenti (più basso della media europea, pari a 11 per 100.000). Nella classe di età tra i 20 e i 34 anni, il suicidio rappresenta una rilevante causa di morte (12% dei decessi).
Alla luce di questi dati risultano importanti i progressi che la scienza può raggiungere in questo ramo della medicina.
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L’interruttore del pessimismo
I neuroscienziati coinvolti nella ricerca hanno mostrato, in test svolti su macachi, che stimolando una regione del cervello chiamata nucleo caudato, gli individui erano indotti a prendere decisioni più negative, dando maggior peso agli svantaggi attesi invece che ai benefici. Ciò succedeva più spesso rispetto a situazioni in cui non vi era alcuno stimolo. Il processo decisionale pessimista, inoltre, poteva protrarsi anche al giorno successivo alla stimolazione originale. Questa scoperta potrebbe aiutare gli studiosi nella comprensione di come alcuni degli effetti più paralizzanti ed opprimenti di depressione e ansia abbiano origine e potrebbe essere una guida nello sviluppo di nuovi trattamenti. Ann Graybiel, professoressa del MIT, membro del MIT’s McGovern Institute for Brain Research e autrice del lavoro, ha commentato: “Sentiamo di aver visto un dato legato ad ansia o depressione o a un mix di entrambe. Questi problemi psichiatrici sono ancora molto difficili da trattare per molti individui che ne soffrono”.
L’esperimento
Il laboratorio di Ann Graybiel ha precedentemente identificato un circuito neurale che sottende uno specifico processo decisionale conosciuto con il nome di conflitto di avvicinamento-allontanamento: in questi casi si richiede di soppesare lati negativi e positivi delle opzioni a disposizione e ciò tende a provocare molta ansia. Nello stesso laboratorio è stato mostrato che lo stress cronico influenza sensibilmente il prendere decisioni: nel caso degli animali, maggiore stress porta a scegliere l’opzione ad alto rischio e con guadagno maggiore.
Nel nuovo studio pubblicato su Neuron, i ricercatori hanno voluto tentare di riprodurre un effetto spesso osservato nei pazienti affetti da depressione, ansia e disturbo ossessivo-compulsivo: queste persone solitamente seguono comportamenti rituali pianificati per combattere i pensieri negativi ma anche per dare maggior peso alle potenziali conseguenze negative di una determinata situazione. Proprio questo ragionamento pessimista potrebbe influenzare il conflitto di avvicinamento-allontanamento.
Per testare questa ipotesi, è stato stimolato il nucleo caudato dei macachi con una piccola scossa elettrica quando era offerto loro un premio (del succo di frutta) in coppia con uno stimolo fastidioso (un soffio d’aria sul volto). In ogni prova il rapporto tra ricompensa e stimolo avverso era differente e gli animali potevano decidere se accettare o meno. Il processo decisionale suddetto richiede un’analisi costi-benefici: se la ricompensa è tanto vantaggiosa da sopportare il soffio d’aria in faccia, il macaco accetterà. Ma, quando il nucleo caudato veniva stimolato, il calcolo costi-benefici si alterava e gli individui iniziavano ad evitare combinazioni che prima avevano accettato. Questo comportamento proseguiva dopo la fine della stimolazione, anche il giorno successivo, e poi man mano spariva.
Il futuro di questa ricerca
Le informazioni raccolte suggeriscono che i macachi, a causa dello stimolo elettrico, avevano iniziato a svalutare i benefici e a focalizzarsi sui costi.
La ricerca del MIT fornisce una maggiore comprensione del ruolo dei gangli della base (una parte del cervello che comprende il nucleo caudato) nei processi decisionali analizzati. Inoltre è stato osservato che l’attività delle onde cerebrali nel nucleo caudato è alterata quando cambiano i pattern dei processi decisionali, una modifica che coinvolge le frequenze beta (onde cerebrali di bassa ampiezza spesso associate al pensare produttivo, articolato e ansioso e alla concentrazione attiva) e può servire da marcatore biologico per monitorare se un animale o un paziente risponde a un trattamento farmacologico.
Ora la sperimentazione è passata a pazienti umani: Ann Graybiel sta lavorando con gli psichiatri del McLean Hospital, sempre in Massachusetts, per analizzare una possibile attività anomala nella neocorteccia e nel nucleo caudato durante processi decisionali di conflitto di avvicinamento-allontanamento. Le immagini delle risonanze magnetiche hanno mostrato questa risposta in due regioni della corteccia prefrontale mediale che si connettono con il nucleo caudato. Quest’ultimo, a sua volta, contiene regioni connesse al sistema limbico, responsabile della regolazione dell’umore e che invia input ad altre aree quali le regioni che producono dopamina. Gli studiosi dovranno confermare se l’attività anomala del nucleo caudato sia responsabile di una interruzione dell’attività della dopamina.
Per ulteriori approfondimenti, acquistate e leggete l’articolo di Agnese Mariotti, “Depressione: verso la terapia personalizzata”, pubblicato nel numero di aprile 2018 di Sapere.