Siete per la strada e state camminando, magari velocemente. Sentite i motori di auto e motociclette che ruggiscono, il tintinnio di tazzine e cucchiaini che proviene dal lavabo di un bar, il chiacchierare di un gruppo di persone incontratesi nella piazza. Tra quelle voci, a un certo punto, ne riconoscete una e riuscite senza alcun problema a isolarla e a capire che si tratta di un’amica. Come avete fatto a percepirla nonostante tutti quei suoni, rumori, e le parole degli altri che giungevano alle vostre orecchie? Vi sapranno rispondere i ricercatori del Columbia’s Mortimer B. Zuckerman Mind Brain Behavior Institute.
Siete per la strada e state camminando, magari velocemente. Sentite i motori di auto e motociclette che ruggiscono, il tintinnio di tazzine e cucchiaini che proviene dal lavabo di un bar, il chiacchierare di un gruppo di persone incontratesi nella piazza. Tra quelle voci, a un certo punto, ne riconoscete una e riuscite senza alcun problema a isolarla e a capire che si tratta di un’amica. Come avete fatto a percepirla nonostante tutti quei suoni, rumori, e le parole degli altri che giungevano alle vostre orecchie? Vi sapranno rispondere i ricercatori del Columbia’s Mortimer B. Zuckerman Mind Brain Behavior Institute.
Riconoscerei la tua voce tra mille
Il processo che ci permette di riconoscere e isolare una voce tra la folla avviene nella corteccia uditiva, la regione del nostro cervello dedicata all’ascolto. Il suono per arrivare al nostro cervello attraversa prima l’orecchio esterno, la regione che capta le onde sonore e le convoglia verso il timpano; quindi l’orecchio medio, il quale cattura le vibrazioni trasmesse dal timpano e le trasmette all’orecchio interno mediante il funzionamento di tre piccoli ossicini; e infine proprio l’orecchio interno, che amplifica l’informazione uditiva e la traduce in messaggio nervoso. Questo segnale elettrico giunge al cervello, dove la corteccia uditiva deve selezionare ciò che può realmente interessare all’ascoltatore.
Nel 2012, un precedente lavoro pubblicato su Nature, aveva rivelato che riusciamo a selezionare i suoni che percepiamo. In particolare, quando stiamo parlando con una persona, le nostre onde cerebrali si modificano per distinguere le caratteristiche della voce dell’altro e per ignorare le altre voci. A questo punto gli scienziati, però, desideravano capire come questo potesse accadere a livello anatomico, nella corteccia uditiva.
Studiare da vicino come “sente” il nostro cervello
Anche in questo caso non c’è stato niente di meglio del poter osservare in maniera diretta il funzionamento del cervello. Come? Un paziente affetto da epilessia, già sottoposto a regolari operazione chirurgiche, si è offerto volontario e ha permesso agli autori dello studio, pubblicato su Neuron, di impiantare degli elettrodi nella sua corteccia uditiva affinché venissero monitorate le sue onde cerebrali mentre era in ascolto di registrazioni di gente che parla. Le regioni in cui sono stati inseriti gli elettrodi sono il giro di Heschl e il giro temporale superiore: l’informazione uditiva dall’orecchio arriva prima al giro di Heschl, lo attraversa, e quindi giunge al giro temporale superiore. Cosa succede in questo tragitto?
Come funziona l’ascolto selettivo e a cosa serve saperlo?
I dati raccolti hanno mostrato che il giro di Heschl produce una rappresentazione ricca e multidimensionale del mix di suoni che ci giunge all’orecchio, in cui ciascuna voce è separata dalle differenze nella frequenza. In questa area non vengono espresse preferenze per una voce o per l’altra. Il giro temporale superiore, invece, riesce ad amplificare la voce di una singola persona dando un peso al segnale di output che arriva dal giro di Heschl. Vi è quindi una divisione di funzioni tra le due aree della corteccia uditiva: il giro di Heschl rappresenta mentre il giro temporale superiore seleziona, il tutto in circa 150 millisecondi. C’è, inoltre, un altro ruolo rivestito dal giro temporale superiore: crea un oggetto uditivo, una rappresentazione del suono che ci permette di continuare ad ascoltare, ad esempio, la voce dell’amica di cui parlavamo nell’introduzione anche se qualcuno dovesse parlarle sopra.
A cosa serve conoscere il funzionamento della nostra corteccia uditiva? I risultati ottenuti potranno essere la base per la compilazione di algoritmi in grado di replicare questo processo biologico in maniera artificiale, come negli apparecchi acustici. Gli stessi autori della ricerca hanno annunciato lo sviluppo di un apparecchio acustico controllato dal cervello che impiega uno di questi algoritmi per amplificare il suono della voce di una persona rispetto a quella di un’altra.
Rimaniamo nell’ambito delle neuroscienze consigliandovi l’articolo di Elisa Frasnelli, “Lateralità cerebrale: anche le api possono essere destrimani”, pubblicato nel numero di aprile 2019 di Sapere.
Credits immagine: foto di Free-Photos da Pixabay