Il funzionamento della memoria ci continua ad affascinare: è costituito da meccanismi che adoperiamo nella vita quotidiana e che, la maggior parte delle volte, desidereremmo migliorare. Ci aspettiamo che la conoscenza di questi processi ci aiuti non solo a potenziare le nostre prestazioni cognitive ma anche a trovare terapie per patologie come l'Alzheimer. Negli ultimi anni gli scienziati hanno studiato in maniera approfondita come il cervello acquisisce e memorizza diversi tipi di informazioni e stanno giungendo a risultati curiosi e incoraggianti. Sembra, infatti, che esista un legame tra memoria e navigazione. Questa non è una connessione del tutto nuova ma, trovarne le prove, apre le porte a nuove sperimentazioni e applicazioni. Ne ha parlato Jordana Cepelewicz su Quanta Magazine.
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Astrociti: mostrate nuove proprietà delle cellule a stella del nostro cervello
in Mente & CervelloÈ stato dimostrato per la prima volta che gli astrociti, le cellule cerebrali a forma di stella finora considerate passive, possono essere eccitati con uno campo elettrico applicato da un dispositivo organico. Questa forma di eccitazione è importante per il funzionamento dell'attività neuronale nella memoria e nell'apprendimento. Cerchiamo di capire meglio di cosa si tratta.
La valutazione dello stato di coscienza in un paziente è un terreno minato. Ad oggi non abbiamo ancora stabilito con criteri oggettivi una definizione di "coscienza" e l'esame per misurarla consiste in un test effettuato dal personale medico direttamente sull'interessato, senza l'ausilio di una strumentazione e di risultati non strettamente legati all'interpretazione del singolo. Proprio alla luce di questo, gli scienziati stanno cercando da anni un modo di stimare lo stato di coscienza di una persona con nuove tecniche di analisi. In un articolo pubblicato sulla rivista Brain, la risposta sembra essere un algoritmo che passa in rassegna i segnali forniti da un elettroencefalogramma. Ma siamo pronti a far decidere a una macchina la condizione di vita o di morte di un essere umano?
"È come andare in bicicletta". Quante volte abbiamo sentito questa frase in riferimento ad abilità imparate tempo prima, che non scordiamo nonostante il trascorrere del tempo e la mancanza di pratica? In un articolo di Scientific American, Boris Suchan, professore in neuropsicologia clinica presso la Ruhr University di Bochum (Germania), ha spiegato perché non dimentichiamo come andare in bicicletta o come nuotare, citando un celebre caso medico che ancora sta contribuendo ad approfondire la conoscenza del cervello umano.
Un quoziente intellettivo alto è davvero sinonimo di genialità e successo? Spesso pensiamo che un'intelligenza al di sopra della media possa essere la carta vincente per una carriera professionale di alto livello e per un'esistenza di riconoscimenti. Ma cos'è l'intelligenza? Come si misura? È realmente il fattore decisivo per una vita d'eccellenza?
È lunedì e per molti di noi sarà stata un'impresa alzarsi dal letto e prepararsi per iniziare la settimana lavorativa. Lo sforzo diventa maggiore se pensiamo che magari, nella pausa pranzo o nel pomeriggio, ci dovremo dedicare a un'attività fisica: andremo a correre, praticheremo uno sport o andremo in palestra per prenderci cura della nostra salute e scaricare lo stress. Riempire il borsone o indossare gli indumenti tecnici saranno operazioni lentissime perché, nonostante sappiamo che staremo meglio, preferiremmo tuffarci sul divano. Questa forma di pigrizia è una reazione fisiologicamente reale, una serie di processi che accadono nel nostro cervello e ci porterebbero a optare per la sedentarietà: i ricercatori della University of British Columbia (Canada) ne hanno le prove.
Intestino e cervello: scoperto il circuito neuronale che li collega
in Mente & CervelloA quanti di voi sarà capitato, in un momento di particolare agitazione, di soffrire di disturbi intestinali? Spesso nervosismo, stati d'ansia e patologie più gravi sembrano riflettersi in fastidi e dolori a livello di "pancia". Il legame tra intestino e cervello è già conosciuto dagli scienziati ma un recente studio ha dimostrato che la connessione tra questi due organi è più stretta di quanto fino a ora sapessimo.
Spesso ci si divide in schieramenti quando si parla delle nuove tecnologie di cui ci circondiamo, così invasive e onnipresenti, e di discuterne l'utilità o, al contrario, l'influenza negativa che potrebbero esercitare sulle nostre capacità cognitive. Esistono prove che dimostrano che l'uso di smartphone, tablet, PC, il continuo passare da un social e l'altro, l'ipnotico perdersi nell'ultimo videogioco, ci stia realmente cambiando?
Scoprire il modo in cui gli studenti stanno imparando l'inglese registrando il percorso dei loro occhi sul testo. Si basa su questo la ricerca svolta dal MIT-Massachusetts Institute of Technology: utilizzando i dati generati da videocamere che seguono gli occhi dei lettori, gli scienziati hanno trovato degli schemi ripetuti nei movimenti oculari. Quest'ultimi sono fortemente correlati alle prestazioni su test standardizzati per verificare la conoscenza dell'inglese come seconda lingua.
Dietro i banchi di scuola come nei nostri uffici continuiamo a renderci conto che ciascuno di noi percepisce la realtà in maniera differente e riesce ad acquisire nuove conoscenze con approcci molto diversi. Da decenni pedagogisti e psicologi cognitivi classificano questa serie di modalità di studio come stili di apprendimento. Cosa sono? È proprio vero che ognuno di noi adotta uno specifico stile di apprendimento e che solo quello può risultare vincente nella propria esperienza? Un nuovo studio pubblicato su Anatomical sciences education - e di cui parla un articolo di Scientific American - sembra scardinare questa concezione che per molti anni è stata usata e abusata nella costruzione dei programmi scolastici americani ma anche italiani.