È quasi immediato pensare all’allattamento come una forma di cura parentale esclusiva dei mammiferi. Non è così. Esistono altre specie che nutrono i propri piccoli con liquidi assimilabili al latte, con differenti composizioni legate alle diverse funzioni da svolgere. Un recente articolo pubblicato su The New York Times Science ha tracciato un breve excursus in quella che potremmo definire la Via Lattea che attraversa il regno animale.
È quasi immediato pensare all’allattamento come una forma di cura parentale esclusiva dei mammiferi. Non è così. Esistono altre specie che nutrono i propri piccoli con liquidi assimilabili al latte, con differenti composizioni legate alle diverse funzioni da svolgere. Un recente articolo pubblicato su The New York Times Science ha tracciato un breve excursus in quella che potremmo definire la Via Lattea che attraversa il regno animale.
Come è nato l’allattamento?
Soltanto nella classe dei Mammiferi tutti i membri allattano i propri piccoli e ora i biologi evoluzionisti credono che le radici di questo comportamento risalgano a più di 300 milioni di anni fa,100 milioni di anni prima della comparsa del primo mammifero sul nostro pianeta. Cosa si vuole intendere con questa affermazione? Si pensa che gli antenati dei mammiferi moderni abbiano deposto delle uova porose, di consistenza pergamenacea, simili a quelle che ancora oggi producono lucertole, serpenti e ornitorinchi. Al contrario dei gusci rigidi, ben calcificati, degli uccelli, questi corrono il rischio di seccarsi ed è per questo che i rettili dei giorni nostri li depositano in luoghi umidi. I predecessori di noi mammiferi, invece, trovarono un’alternativa: si trasformarono in “innaffiatoi” per poter depositare le uova dove preferissero e mantenerle sempre nelle corrette condizioni di umidità. L’ancestrale latte per provvedere all’idratazione delle uova era secreto da pori presenti sul petto degli animali, i capezzoli sarebbero arrivati molto più tardi.
Quelle pareti pergamenacee avevano un altro inconveniente: il rischio di infiltrazione microbica. Per questo quel “latte” conteneva anche componenti per combattere i patogeni. L’evoluzione ha in seguito prolungato l’uso di questo liquido al periodo successivo alla schiusa delle uova e ne ha fatto un vero e proprio alimento per i cuccioli. Una volta che l’allattamento si è integrato nelle cure parentali dei mammiferi, il latte ha iniziato a diversificarsi con combinazioni legate alle necessità e alla dieta degli animali.
Il latte di insetti e uccelli
Sembra, però, che anche alcune specie di ragni, insetti e uccelli allattino. Ma cosa si intende per “latte”? Se volessimo appellarci a una definizione ristretta del termine, ci riferiremmo alla secrezione di una ghiandola mammaria dedicata. Alcuni scienziati, però, hanno pensato di estendere il campo a tutte quelle sostanze pesantemente modificate o sintetizzate dai genitori e dalle quali dipende la sopravvivenza dei piccoli.
Un esempio riportato nell’articolo del New York Times Science è quello di Nicrophorus orbicollis, una specie americana di coleotteri, i cui genitori provvedono entrambi alle cure dei loro figli. Per nutrirli mangiano parti di carcasse, le predigeriscono e le trasferiscono successivamente nella bocca del figlioletto affamato. Questo liquido non contiene solo carne rimasticata ma anche i fluidi orali del coleottero genitore che contribuiscono in grande misura alla sopravvivenza della progenie, grazie al loro contenuto di microrganismi, anticorpi, enzimi digestivi e altre sostanze indispensabili per nutrirsi di cadaveri.
Invece, un esempio di allattamento tra gli uccelli è quello dei fenicotteri, un caso che mostra quanto la lattazione sia dispendiosa e, per questo, sia necessaria una giustificazione evolutiva. Una volta schiuso il grande e unico uovo, mamma e papà fenicottero nutriranno il piccolo per nove lunghi mesi con il latte prodotto da una ghiandola situata nel gozzo. La richiesta di cibo da parte del cucciolo stimolerà il cervello dei genitori a rilasciare prolattina, lo stesso ormone che promuove la lattazione umana, che quindi solleciterà le cellule che rivestono il gozzo, alla base del collo, a ingrandirsi e fornire il prezioso liquido, di un bel rosa poiché ricco di carotenoidi, pigmenti che colorano le penne di questi uccelli e anche utili antiossidanti. Quello dei fenicotteri è un allattamento faticoso che prosciuga gran parte delle energie e persino la celebre pigmentazione di questi animali che, in questi nove mesi, divengono pallidi cedendo tutte le sostanze necessarie alla crescita al nuovo arrivato. Perché lo fanno e non hanno sviluppato altri modi per nutrire la prole? I fenicotteri sono filtratori e i loro becchi funzionano come complessi setacci: è necessario parecchio tempo affinché il becco di un piccolo assuma la giusta conformazione e un periodo altrettanto lungo serve all’animale stesso per imparare a “maneggiare” tale strumento.
Differenti gusti per diverse esigenze
I ricercatori sono quindi riusciti a trovare latte in posti inaspettati, animali privi di mammelle: ragni, mosche tse-tse, scarafaggi ma anche nei grandi squali bianchi, nei maschi di pinguini imperatori, nei colombi e, come è stato raccontato, nei fenicotteri di entrambi i sessi. È sorprendente come l’evoluzione abbia plasmato modalità di allattamento nel regno animale ma lo è altrettanto la ricetta dei diversi tipi di latte all’interno della sola classe dei mammiferi. C’è la foca dal cappuccio (Cystophora cristata) che ha il latte più grasso, con il 60% di lipidi, per far crescere più in fretta i cuccioli e che ha un forte odore di pesce; c’è quello dei leoni che invece è inodore e non è zuccherino, poiché i carnivori sono in grado di separare in maniera efficiente il glucosio da proteine e grassi. E poi c’è il latte umano che, al contrario, è estremamente dolce, ricco di un gran numero e varietà di zuccheri. Come mai? Qual è la ragione di questa particolare composizione? Sembra sia dovuta all’azione antimicrobica dello zucchero che ci ha aiutato a sopportare tutti i nuovi patogeni incontrati dopo la rivoluzione neolitica, ossia dopo la nascita dell’agricoltura, quando abbiamo iniziato a vivere in villaggi, a contatto ravvicinato con altri esseri umani e con gli animali da allevamento e da cortile. Diversamente da ciò che si credeva, il nostro latte zuccherino non si è evoluto per la costruzione e il mantenimento del nostro cervello ma è stato quest’ultimo a spingere la produzione di quel liquido per supportarci in una nuova fase della nostra civiltà, quella dell’agricoltura e dell’allevamento, che ci ha portati a un decisivo progresso della nostra società ma che è stato anche un po’ uno shock per il nostro organismo.
Il latte materno è il primo alimento di cui ci nutriamo e contribuisce al nostro stato di salute e alla nostra crescita. E da adulti? Il cibo può aiutarci a stare meglio? Per conoscere la risposta vi consigliamo di acquistare e leggere l’articolo di Laura Teodori e Luigi Campanella, “Alimentazione come terapia: dall’ipotesi all’evidenza scientifica”, pubblicato nel numero di giugno 2016 di Sapere.
Credits immagine: foto di Tania Van den Berghen da Pixabay