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31 Gen 2019

Alla ricerca del minerale impossibile: il quasi cristallo

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A volte la ricerca scientifica può percorrere sentieri più tortuosi e avventurosi di quelli che riusciremmo a immaginare. È il caso degli studi riguardanti i quasi cristalli: minerali che, teoricamente, non dovrebbero esistere e che, invece, hanno spinto gli scienziati oltre le mura di laboratori e musei. Questa è la storia di un gruppo di studiosi americani e italiani che, a partire da un’idea e dei piccoli indizi, hanno raggiunto dei risultati sorprendenti. Siete pronti a ripercorrere i loro passi con noi?

A volte la ricerca scientifica può percorrere sentieri più tortuosi e avventurosi di quelli che riusciremmo a immaginare. È il caso degli studi riguardanti i quasi cristalli: minerali che, teoricamente, non dovrebbero esistere e che, invece, hanno spinto gli scienziati oltre le mura di laboratori e musei. Questa è la storia di un gruppo di studiosi americani e italiani che, a partire da un’idea e dei piccoli indizi, hanno raggiunto dei risultati sorprendenti. Siete pronti a ripercorrere i loro passi con noi?

 

Simmetrie proibite

 

Prima di tutto cerchiamo di capire cosa sia un quasi cristallo. Tutto ciò che osserviamo e ci circonda è costituito da particelle (atomi, molecole o ioni) tenute insieme da forze di interazione che ne determinano lo stato di aggregazione. A seconda dell’entità della forza tra le particelle, avremo quattro diversi stati: solido, liquido, gassoso e plasma. In particolare, nello stato solido gli atomi sono tenuti insieme da forti legami grazie ai quali non possono cambiare la posizione che occupano, caratteristica che conferisce al solido forma e volume propri. I solidi, a loro volta, possono suddividersi in cristallini e amorfi: i primi sono costituiti da atomi, molecole o ioni aventi una disposizione geometricamente regolare, che si ripete indefinitamente nelle tre dimensioni spaziali; i secondi posseggono una struttura disordinata, analoga a quella dei liquidi, tanto da poter essere anche definiti liquidi ad altissima viscosità (il classico esempio è il vetro). Le geometrie regolari seguite nei solidi cristallini sono governate da determinate simmetrie. Per capire meglio questo concetto pensate a un foglio (quindi una superficie a due dimensioni) che debba essere completamente coperto da una specifica forma geometrica. Riusciremo a rivestire la superficie, senza spazi vuoti, con triangoli, quadrati, rettangoli ed esagoni: queste sono le simmetrie “lecite” che ritroviamo in tutti i minerali conosciuti. E se tentassimo con dei pentagoni? Rimarrebbero degli spazi vuoti. I quasi cristalli seguono queste simmetrie ritenute proibite e, proprio per questo, si riteneva non avessero il rango di stato solido della materia, che fossero stranezze metastabili, temporanee.

 

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Dai laboratori alle lande selvagge della Kamčatka (passando per i musei)

 

Il primo a osservare questo tipo di struttura fu il fisico Daniel Shechtman, nel 1984. Il cristallo era stato prodotto artificialmente e rispondeva all’analisi ai raggi X del TEM (Microscopio Elettronico a Trasmissione) in maniera inspiegabile: possedeva una figura di diffrazione con simmetria di ordine 5. Non era un cristallo ma, avendo generato una figura di diffrazione, non poteva essere neanche considerato un solido amorfo. Inizialmente la comunità scientifica pensò che lo scienziato avesse commesso degli errori nella lettura dei dati ottenuti ma, nello stesso anno, il cosmologo statunitense Paul Steinhardt, pubblicò un articolo in cui si parlava del quasi cristallo in termini di equazioni: i numeri dimostravano che una simmetria impossibile – come quella ritrovata da Shechtman – era descrivibile matematicamente.
Il dibattito tra sostenitori e detrattori dell’esistenza del quasi cristallo portò Steinhardt a capire che era necessario trovarne un campione in natura, per far sì che la scoperta potesse essere confermata una volta per tutte. Una ricerca difficile, nata da un appello a cui rispose – ben 6 anni – dopo Luca Bindi, geologo italiano e, a quel tempo, curatore del Museo di Mineralogia e Litologia dell’Università di Firenze. Secondo il cosmologo, i minerali che hanno più probabilità di formare quasi cristalli sono quelli che contengono alluminio e rame, due metalli che sulla Terra non si trovano mai legati tra loro. Bini, quindi, intuì che campioni contenenti entrambi gli elementi potessero nascondere quello che era divenuto quasi il Santo Graal della cristallografia. Scartabellando nei database mineralogici per cercare campioni che corrispondessero all’identikit, il curatore si imbatté in un frammento (piccolissimo, di pochi millimetri) ritrovato nel 1979 e venduto al museo di Firenze nel 1990. Esaminato nei laboratori di cristallografia dell’Università di Firenze, ecco finalmente mostrarsi agli occhi degli studiosi l’icosaedrite, un quasi cristallo composto di alluminio, rame e ferro (Al63Cu24Fe13).
Siamo già al lieto fine? No, perché quel minerale poteva benissimo essere lo scarto di una lavorazione industriale. Era necessario conoscerne la storia per fugare tutti i possibili dubbi riguardanti la sua provenienza.
Un po’ archivisti, un po’ Indiana Jones, Steinhardt e Bindi iniziarono a ripercorrere a ritroso il viaggio del campione, risalendo dapprima al venditore, deceduto ma la cui moglie – che viveva ad Amsterdam – aveva conservato gli appunti, pagine ricche di indicazioni. Dove era stato raccolto quel minerale? Dall’America all’Europa, ora si trattava di spostarsi in un luogo selvaggio e leggendario: la regione del Kamčatka, in Russia. Era Valery Kryachko la persona che aveva raccolto l’icosaedrite trent’anni prima e che, fortunatamente, guidò i nostri eroi nella tundra siberiana a caccia di altri quasi cristalli.
Ben dieci frammenti furono ritrovati durante la spedizione, piccole particelle che rivelarono l’origine extraterrestre del primo quasi cristallo naturale, originato dallo scontro di asteroidi avvenuto più di 4 miliardi di anni fa e i cui resti sono precipitati sulla Siberia, in forma di meteoriti.

 

 

Un’avventura a lieto fine

 

Quindi Daniel Shechtman aveva ragione? Sì, talmente tanto che nel 2011 fu insignito del Premio Nobel per la Chimica per la scoperta dei quasi cristalli. Paul Steinhardt e Luca Bindi? Hanno pubblicato su riviste scientifiche i risultati di questo straordinario viaggio e, nel novembre 2018, hanno ricevuto il premio Aspen Institute Italia 2018, assegnato alle collaborazioni tra il nostro paese e gli Stati Uniti nella ricerca scientifica.
I quasi cristalli potranno cambiare anche le nostre vite? Le loro proprietà sono speciali: durezza, resistenza alla corrosione, bassa conducibilità termica e un basso coefficiente di attrito che li rendono adatti a rivestimenti di varia natura, applicabili in numerosi settori industriali. Dai bisturi alle padelle antiaderenti, la loro magia entrerà presto nella nostra quotidianità.

 

La matematica continua a guidarci alla scoperta delle geometrie della natura nell’articolo di Sandra Lucente, “Il matematico nell’irrazionale regno dei cristalli”. Acquistatelo singolarmente o con il fascicolo completo di dicembre 2017 di Sapere.

 

Immagine di copertina: da sinistra, Luca Bindi, Valery Kryachko e Paul Steinhardt (Russia, 2011). Credits: Paul Steinhardt [CC BY-SA 4.0], via Wikimedia Commons

REDAZIONE
La Redazione del sito saperescienza.it è curata da Micaela Ranieri dal 2019, in precedenza hanno collaborato Stefano Pisani e Alessia Colaianni.
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