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04 Ago 2016

Editoriale – Il bazar della scienza

Nicola Armaroli

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Gli scienziati si controllano a vicenda. Il sistema si chiama peer-review (revisione tra pari); la procedura è laboriosa, ma dovrebbe garantire la qualità della produzione scientifica. Come funziona e quali sono i “rischi” di questo sistema? L’editoriale di Nicola Armaroli, direttore di Sapere, sul numero di Sapere di agosto. 

Gli scienziati si controllano a vicenda. Il sistema si chiama peer-review (revisione tra pari); la procedura è laboriosa, ma dovrebbe garantire la qualità della produzione scientifica. Come funziona e quali sono i “rischi” di questo sistema? L’editoriale di Nicola Armaroli, direttore di Sapere, sul numero di Sapere di agosto. 

 

I risultati di una ricerca sono inviati a una rivista specializzata in forma di articolo; la scelta è ampia: centinaia di giornali classificati su complesse scale di qualità. Lo staff della rivista seleziona esperti internazionali (referee, cioè arbitri) per valutare il lavoro; tipicamente tre, lavorano gratuitamente e sono coperti da anonimato. Entro un mese, i referee inviano il loro giudizio all’editore della rivista che, sulla base dei commenti ricevuti, prende un’inappellabile decisione. Raramente il lavoro è accettato subito: di solito si chiedono chiarimenti ed esperimenti aggiuntivi. Spesso il lavoro è rifiutato e gli autori, tipicamente, lo propongono a riviste meno prestigiose sino a trovarne una disposta a pubblicarlo.

Il sistema peer-review ha funzionato egregiamente per oltre un secolo, contribuendo in maniera cruciale allo sviluppo della scienza. Tuttavia, negli ultimi 15 anni, la situazione si è progressivamente deteriorata sino a creare i presupposti per una tempesta perfetta. Il numero di lavori scientifici è aumentato a dismisura, anche grazie al boom della scienza cinese e indiana. I referee sono sempre più in affanno a svolgere il loro lavoro in maniera accurata, a causa dell’aumento delle richiesta da parte delle riviste. D’altro canto, lo sviluppo di potenti software grafici ha reso incredibilmente semplice aggiustare, falsificare o persino inventare di sana pianta dati da pubblicare, e in questi casi il referee è impotente. Questi comportamenti criminali sono una delle perverse conseguenze di una competizione sempre più spietata che spinge le riviste migliori ad accettare solo (presunti) risultati eccezionali e le agenzie di finanziamento a sovvenzionare solo scienziati che pubblicano sulle migliori riviste. In breve: spararla grossa paga e la tentazione è forte. In alcuni paesi, i ricercatori sono letteralmente pagati a cottimo: il salario è legato al numero dei lavori pubblicati e al prestigio delle riviste. Questa pratica sta avvelenando i pozzi del complesso e fragile edificio della scienza, fondato sull’integrità morale dei ricercatori.

 

In questo contesto deteriorato, i giornali scientifici continuano ad aumentare. Un esempio: un tempo la rivista Nature era unica, oggi conta 46 (!) riviste sorelle su settori specifici. Ogni editore ha ormai creato una batteria di riviste minori dove convogliare tutto quello che non sfonda sui titoli principali. Il palcoscenico editoriale si espande anche perché, nell’era digitale, un giornale ha costi irrisori. E mentre ogni settimana spunta un nuovo titolo, la qualità di quanto si pubblica tende a calare.
Negli ultimi giorni ho valutato quattro lavori per importanti riviste internazionali, tre contenevano gravi errori concettuali. Venti anni fa questo era impensabile. Oggi, purtroppo, anche articoli di questo calibro possono passare la valutazione, segno inequivocabile che gli anticorpi del tradizionale peer review non bastano più a controllare un sistema profondamente cambiato e iperspecializzato, in cui si annidano persino cartelli di referee che presidiano interi settori, non sempre in modo corretto.

 

La scienza rischia di affogare in un mare di dati formalmente certificati ma poco affidabili; l’ossessione della ricerca applicata a tutti i costi mette ulteriore benzina sul fuoco. George Feher disse che per alcuni la scienza è una vacca sacra, ma altri la trasformano in hamburger. Per fermare Il bazar della scienza che rischia di travolgere tutto, gli scienziati debbono innanzitutto fare un po’ di autocritica. Non siamo venditori, né di fumo né di carriere.

Nicola Armaroli
Nicola Armaroli
Nicola Armaroli, direttore di Sapere dal 2014, è dirigente di ricerca del CNR e membro della Accademia Nazionale delle Scienze (detta dei 40). Lavora nel campo della conversione dell’energia solare e dei materiali luminescenti e studia i sistemi energetici nello loro complessità. Ha pubblicato oltre 250 lavori scientifici, 11 libri e decine di contributi su libri e riviste. Ha tenuto conferenze in università, centri di ricerca e congressi in tutto il mondo ed è consulente di varie agenzie e società internazionali, pubbliche e private, nel campo dell’energia e delle risorse. Ha ottenuto vari riconoscimenti tra cui la Medaglia d’Oro Enzo Tiezzi della Società Chimica Italiana e il Premio per la Chimica Ravani-Pellati della Accademia delle Scienze di Torino. È un protagonista del dibattito scientifico sulla transizione energetica su tutti i mezzi di comunicazione (v. qui).
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