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07 Mar 2019

I social media ci spiano: ma chi sono le maggiori vittime delle “filter bubble”?

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La nostra vita virtuale, il nostro interagire attraverso i social media e, soprattutto, l’informazione da essi filtrata è oggetto di studio da un bel po’. Esistono processi tecnologici e fenomeni sociali che contribuiscono alla pericolosa diffusione di bufale, fake news, e alcune fette di popolazione potrebbero esserne soggette più di altre. Un articolo pubblicato su Scientific American ha spiegato come gli anziani possano essere, in modo particolare, vittime delle cosiddette filter bubble. Cosa sono e come sono legate alla circolazione di notizie false?

La nostra vita virtuale, il nostro interagire attraverso i social media e, soprattutto, l’informazione da essi filtrata è oggetto di studio da un bel po’. Esistono processi tecnologici e fenomeni sociali che contribuiscono alla pericolosa diffusione di bufale, fake news, e alcune fette di popolazione potrebbero esserne soggette più di altre. Un articolo pubblicato su Scientific American ha spiegato come gli anziani possano essere, in modo particolare, vittime delle cosiddette filter bubble. Cosa sono e come sono legate alla circolazione di notizie false?

 

Cos’è una filter bubble?

 

Una filter bubble, una bolla di filtraggio, è definita come “l’ambiente virtuale che ciascun utente costruisce in Internet tramite le sue selezioni preferenziali, caratterizzato da scarsa permeabilità alla novità e alto livello di autoreferenzialità”. Cerchiamo di chiarire questo concetto. Piattaforme come Facebook (o motori di ricerca come Google) tra le loro funzioni prevedono la promozione di contenuti e questo tipo di operazione è alimentata da tutti i dati che ogni giorno forniamo più o meno consapevolmente attraverso le nostre ricerche, i nostri “Mi piace”, le nostre condivisioni e la rete di amicizie che abbiamo costruito all’interno del social network. Cliccando, cliccando, l’algoritmo si nutre delle preferenze personali mostrandoci solo ciò che fa parte dei nostri interessi, che siano politici, gastronomici o di altra natura. Questo meccanismo costruisce quella che è detta una bolla di filtraggio, un ambiente isolato in cui non veniamo a contatto con alcun contraddittorio rispetto a ciò che pensiamo. Naturalmente non possiamo ridurre il fenomeno in termini unicamente tecnologici perché esistono meccanismi cognitivi tipici di noi esseri umani che agiscono in questo modo e tendono a rafforzare gli effetti della filter bubble, pregiudizi che possono portare chiunque ad assumere posizioni sbagliate derivanti da errori di valutazione. Un esempio è il cosiddetto bias di conferma: cerchiamo continuamente prove che confermino le nostre convinzioni e trascuriamo quelle contrarie ai nostri principi, un processo che può effettivamente impedirci di uscire consapevolmente dalla bolla per cercare pareri differenti dal nostro o diversi punti di vista su una notizia.
Diventa evidente quanto questo meccanismo possa alimentare la propagazione di notizie false. Ma chi è più soggetto al fenomeno delle filter bubble?

 

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Anziani e social media

 

Uno dei potenziali fattori da considerare nello sviluppo delle filter bubble, indicato nell’articolo di Scientific American, è la solitudine, descritta in questo caso come la non corrispondenza percepita tra la desiderata profondità nei rapporti sociale e l’esperienza reale, che si ritrova nei gruppi di qualsiasi età. Questo è un problema che sembra interessare maggiormente gli adolescenti ma che, dai dati esposti , appartiene anche agli anziani. Prima di arrivare al legame tra solitudine e bolle di filtraggio, diamo un’occhiata ai numeri riguardanti la terza età e l’uso della rete. Secondo l’indagine Smart Ageing – La tecnologia non ha età, promossa da Amplifon e condotta da Ipsos, gli italiani over 55 utilizzano i social media per passare il tempo (59%), per rimanere informati (48%), per tenersi in contatto con amici lontani (43%) e ben il 76% possiede un account social. Delle percentuali rilevanti in termini di potenziale diffusione di notizie in rete.

 

La riflessione su Scientific American

 

Purtroppo i sentimenti di solitudine sono diffusissimi anche tra gli anziani e questa condizione porta a pericolose conseguenze dal punto di vista della salute fisica e mentale, includendo l’impatto sulle funzioni cognitive. In una review citata, gli autori hanno mostrato come individui che si sentono soli mostrino un declino nelle loro abilità di autoregolazione, una aumentata consapevolezza delle minacce sociali nei loro ambienti, un’attenzione maggiore verso gli stimoli sociali negativi e una riconsiderazione delle interazioni negative al servizio della protezione della propria autostima. Tutto questo costituisce la base ideale per una filter bubble che “difenda” dagli attacchi esterni, che aiuti a impedire il conflitto e a minimizzi la delusione, gravitando intorno a fonti di informazione che rispecchino la propria visione del mondo. Questa ipotesi è dimostrata da un recente lavoro pubblicato su Science Advances: gli over 65 statunitensi divulgano molte più fake news dei più giovani. Considerando l’incremento della popolazione adulta che ci sarà nei prossimi anni a livello globale, diviene rilevante capire in maniera più approfondita i fattori che coinvolgono gli anziani nell’uso dei social media e come, viceversa, queste ultime influenzino il loro ruolo nella società.

 

Continuate ad approfondire il tema della cattiva informazione acquistando e leggendo l’articolo di Maria Grazia Coggiola e Gian Piero Siroli, “Fake news: propaganda e disinformazione all’epoca di internet”, pubblicato nel numero di aprile 2018 di Sapere.

REDAZIONE
La Redazione del sito saperescienza.it è curata da Micaela Ranieri dal 2019, in precedenza hanno collaborato Stefano Pisani e Alessia Colaianni.
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