Forse, finire in un buco nero potrebbe non significare automaticamente la distruzione completa e definitiva.
Forse, finire in un buco nero potrebbe non significare automaticamente la distruzione completa e definitiva. Ad avanzare questa ipotesi è un gruppo di ricercatori dell’Instituto de Astrofísica e Ciências do Espaço di Porto, Portogallo. Secondo gli scienziati, a quanto si legge sulla rivista Classical and Quantum Gravity, le interazioni tra le differenti parti di un corpo, e che lo tengono insieme, potrebbero essere preservate quando si attraversa un wormhole. Un wormhole, detto anche ponte di Einstein-Rosen, è un’ipotetica scorciatoia (proposta per la prima volta nel 1935) che connette due punti dello spazio-tempo molto distanti tra loro.
Gli autori dello studio, in loro precedenti lavori, sono arrivati a una descrizione teorica di un buco nero privo di singolarità (quell’infinitamente piccolo punto in cui spazio e tempo finiscono bruscamente): al centro del buco nero ci sarebbe invece una struttura a wormhole sferica e finita. Una descrizione, questa, che però si ottiene abbandonando un assunto della Teoria della Relatività Generale. Una volta introdotta questa struttura sferica di tipo wormhole, Diego Rubiera-Garcia e colleghi si sono chiesti quale potesse essere il destino di un oggetto fisico che ci finisse dentro. Nello studio, un corpo fisico in prossimità di un buco nero è immaginato come un aggregato di punti interconnessi da interazioni chimiche o fisiche che li tengono insieme. Stando alle loro ipotesi, queste forze riuscirebbero a compensare l’impatto del campo gravitazionale nei pressi e all’interno del tunnel spaziale, durante l’attraversamento del corpo fisico. In questo modo, il passaggio verso tutt’altra regione dell’Universo potrebbe essere fattibile.