Provengono dalle gelide e lontane terre antartiche i dati che hanno permesso agli scienziati di individuare per la prima volta la possibile sorgente di un neutrino cosmico. Le informazioni raccolte dal rivelatore di neutrini IceCube, che si trova tra i ghiacci del Polo sud – combinate con quelle di altri quindici esperimenti – hanno consentito di individuare la fonte del neutrino tramite l’associazione con una sorgente di raggi gamma: è un blazar, ossia una galassia attiva con un buco nero supermassiccio al centro, distante 4,5 miliardi di anni luce, in direzione della costellazione di Orione.
Provengono dalle gelide e lontane terre antartiche i dati che hanno permesso agli scienziati di individuare per la prima volta la possibile sorgente di un neutrino cosmico. Le informazioni raccolte dal rivelatore di neutrini IceCube, che si trova tra i ghiacci del Polo sud – combinate con quelle di altri quindici esperimenti – hanno consentito di individuare la fonte del neutrino tramite l’associazione con una sorgente di raggi gamma: è un blazar, ossia una galassia attiva con un buco nero supermassiccio al centro, distante 4,5 miliardi di anni luce, in direzione della costellazione di Orione.
Il rivelatore IceCube
IceCube, l’osservatorio di neutrini costruito in Antartide, vicino alla stazione Amundsen-Scott, è un rivelatore di particelle: delle dimensioni di un chilometro cubo, è sepolto al di sotto della superficie, estendendosi per una profondità di 2.500 metri. Questo detector è stato progettato per osservare i neutrini provenienti dalle sorgenti astrofisiche più violente presenti nel nostro universo. Cos’è un neutrino e perché è così difficile registrarne la presenza? I neutrini sono particelle quasi senza massa, non posseggono carica elettrica e possono viaggiare dalla loro sorgente fino al nostro pianeta senza essere attenuate e senza subire deflessioni dovute ai campi magnetici. Queste caratteristiche – essenzialmente la mancanza di interazioni con la materia – grazie alle quali giungono sino a noi con preziose informazioni riguardanti la propria origine, sono anche quelle che li rendono così sfuggenti agli strumenti a disposizione della scienza.
La scoperta pubblicata su Science
Il 22 settembre 2017 IceCube è riuscito a osservare un neutrino (a cui è stato dato il nome di IC-170922A): la sua energia era molto elevata, pari a 290 TeV (teraelettronvolt, mille miliardi di elettronvolt) e questo poteva essere un indizio della sua origine, probabilmente un oggetto celeste lontano e molto attivo. È iniziata così la caccia alla sorgente della particella: per individuarla con precisione, una volta intercettato IC-170922A, IceCube ha subito lanciato una “allerta neutrino” chiedendo aiuto, sotto forma di ulteriori osservazioni, a tutti i telescopi al lavoro nello spazio o sulla Terra.
L’unione fa la forza e la combinazione di tutte le diverse osservazioni ha portato a individuare proprio nel blazar TXS 0506+056, che si trova al cuore di una galassia a una distanza di 4,5 miliardi di anni luce dalla Terra, la probabile sorgente del neutrino. L’articolo che descrive la scoperta, pubblicato su Science, ci racconta, come riporta Media INAF – Notiziario on-line dell’Istituto Nazionale di Astrofisica: “Nel blazar TXS 0506+056 il getto, alimentato dalla materia espulsa dal disco di accrescimento del buco nero nel quale era precipitata, è proprio la regione in cui le osservazioni di onde radio e di raggi gamma ci dicono che vengono accelerate particelle di alta energia. Adesso, che oltre ai raggi gamma abbiamo osservato anche un neutrino molto energetico, possiamo concludere che, oltre agli elettroni (e ai positroni), ci sono sicuramente anche protoni accelerati. Possiamo, inoltre, affermare che, per produrre il neutrino osservato, questi protoni sono sicuramente di energia estremamente elevata. Oltre a testimoniare in maniera chiara la presenza di protoni accelerati, il neutrino IC-170922A ci permette di risolvere, in parte, il mistero rappresentato dai raggi cosmici di energie estreme. Questo straordinario risultato della neonata astronomia multimessaggero conferma dunque la strettissima connessione che sussiste tra i diversi messaggeri cosmici”.
L’astronomia multimessaggero
Questo studio è sicuramente un grande traguardo per l’astronomia multimessaggero, un ramo della disciplina basato sull’osservazione e interpretazione di numerosi segnali “messaggeri” – quali radiazioni elettromagnetiche, onde gravitazionali, neutrini e raggi cosmici – generati da differenti processi astrofisici e che rivelano diverse informazioni riguardanti le loro sorgenti. “Questo è un risultato si estrema importanza, – ha sottolineato Fernando Ferroni, presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, sempre per Media INAF – perché innanzitutto conferma la straordinaria potenza di indagine dell’astronomia multimessaggero. Il fatto poi che, in questo caso, sia stato un neutrino a innescare la scoperta conferma il ruolo chiave che questa sfuggente e ancora poco conosciuta particella può giocare nella nostra comprensione dell’universo e, quindi, quanto è fondamentale riuscire a conoscerne a fondo la natura. La rivelazione di IceCube conferma, inoltre, l’efficacia delle nostre strategie di indagine dei neutrini: vale a dire andare, non solo sottoterra come nei Laboratori INFN del Gran Sasso, ma anche sotto i ghiacci e sott’acqua come fa l’esperimento Antares, cui collaboriamo al largo delle coste francesi, e KM3Net, che stiamo realizzando assieme a una collaborazione internazionale in Sicilia. E le osservazioni dei rivelatori di fotoni gamma, come Fermi e Magic, confermano la nostra abilità, scientifica e tecnologica, di indagare il mondo delle particelle elementari con molti diversi strumenti. Infine, ma non ultimo, questo risultato dà un’ulteriore conferma della capacità della fisica italiana di essere protagonista delle grandi imprese scientifiche che si conducono a livello mondiale”. L’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e alcune università italiane hanno, infatti, dato contributi determinanti attraverso la partecipazione dei propri ricercatori a molti degli esperimenti e osservatori coinvolti nella scoperta.
Credits dell’immagine di copertina: IceCube/NSF