Un nuovo studio pubblicato su Nature chiarisce molti aspetti della formazione dei sistemi binari di buchi neri attraverso l’analisi delle onde gravitazionali rilevate finora.
Un nuovo studio pubblicato su Nature chiarisce molti aspetti della formazione dei sistemi binari di buchi neri attraverso l’analisi delle onde gravitazionali rilevate finora. Le onde gravitazionali captate da LIGO nel 2015 e nel 2017 non sono solo una prova diretta di un fenomeno fisico cruciale che finora aveva ricevuto solo conferme indirette ma stanno aiutando a definire, in generale, i limiti delle possibili spiegazioni per la formazione dei buchi neri che si trovano oltre la nostra galassia.
Il ruolo delle onde gravitazionali
Finora, i buchi neri sono stati osservati “elettromagneticamente”, per esempio analizzando i raggi X emessi dalla materia che stanno per inghiottire. Studiando buchi neri con stelle che ruotavano loro intorno si è visto che la loro rotazione era significativamente veloce. Le onde gravitazionali possono però portare preziose informazioni altrimenti non ricavabili: stando a quanto sostengono gli scienziati, attraverso la “lente” delle onde gravitazionali è possibile avere informazioni uniche e profonde sulla popolazione di buchi neri che si trovano oltre la nostra galassia. E, finora, è emerso che questi ultimi potrebbero essere diversi da quelli della Via Lattea.
Questione di “spinning”
Gli scienziati stanno sfruttando i segnali relativi a onde gravitazionali captate da LIGO e prodotte dalla fusione di quattro coppie di buchi neri; tre segnali sono stati catturati nel 2015 e uno nel 2017. Lo scopo è cercare di capire meglio la formazione di questi sistemi binari di buchi neri. Al momento, gli scenari in campo sono due e riguardano il comportamento dello “spin” dei buchi neri, ossia il momento angolare del materiale da cui il buco nero (che è la fase finale della vita di alcune stelle) si è formato.
Due ipotesi
A quanto si legge nello studio degli scienziati dell’Università di Birmingham pubblicato sulla rivista Nature, nella prima ipotesi i buchi neri potrebbero essere nati insieme e, ruotando meno rapidamente dei buchi neri della nostra galassia, aver vissuto una vita a breve distanza per poi fondersi l’uno nell’altro.
La seconda ipotesi è invece che i due buchi neri si siano formati indipendentemente l’uno dall’altro in una zona dell’Universo molto densa di stelle ma che l’ambiente dinamico li abbia portati ad avvicinarsi. A quel punto, si sarebbero incontrati per poi morire insieme. Questa ipotesi è quella più attendibile nel caso in cui si accertasse una velocità di rotazione sostenuta e simile a quella dei buchi neri della Via Lattea.
L’indagine comunque è ancora nelle fasi iniziali e sarà migliorata con l’acquisizione di segnali da ulteriori onde gravitazionali captate. E non è escluso che nuove onde possano essere presto rilevate, perché fenomeni come collisioni di grandi buchi neri disposti in sistemi binari sono molto frequenti: “Abbiamo calcolato che le loro collisioni, in ogni angolo nell’universo, si susseguono al ritmo di una ogni quarto d’ora”, ha dichiarato Alberto Vecchio, tra gli autori dello studio.
[Immagine: credit NASA]