Quella appena passata si era prospettata una Pasqua “con il botto” secondo le notizie allarmistiche delle ultime settimane. Il protagonista di articoli e servizi televisivi era Tiangong-1, il modulo spaziale cinese, i cui resti erano pronti a impattare violentemente sulla Terra, purtroppo per noi in zone abitate. La realtà, come già preannunciato dagli scienziati, si è mostrata fortunatamente diversa.
Quella appena passata si era prospettata una Pasqua “con il botto” secondo le notizie allarmistiche delle ultime settimane. Il protagonista di articoli e servizi televisivi era Tiangong-1, il modulo spaziale cinese, i cui resti erano pronti a impattare violentemente sulla Terra, purtroppo per noi in zone abitate. La realtà, come già preannunciato dagli scienziati, si è mostrata fortunatamente diversa.
La prima stazione spaziale cinese
Tiangong-1 – che in cinese significa “palazzo celeste” – è stata la prima stazione spaziale cinese e un laboratorio spaziale sperimentale. È stata lanciata il 30 settembre 2011 dal Jiuquan Satellite Launch Centre, situato nel deserto del Gobi, in Mongolia. Nel suo periodo di attività ha ospitato due missioni con equipaggio e una senza, grazie alla navicella spaziale Shenzhou. Dopo il suo lancio, l’orbita di Tiangong-1 ha iniziato a decadere in maniera costante a causa della debole resistenza atmosferica presente anche a 300 o 400 km di altitudine. Questo processo implica una riduzione continua dell’altezza dell’orbita del satellite fino alla caduta dell’oggetto. Il fenomeno coinvolge tutti i satelliti e le navicelle spaziali aventi orbita terrestre bassa, come la stessa Stazione Spaziale Internazionale: solitamente si provvede a riaggiustare l’orbita con manovre effettuate in remoto ma per Tiangong-1 ciò non è stato possibile. Infatti, nel marzo 2016, la stazione cinese ha smesso di funzionare e ha iniziato, di fatto, a non essere più controllabile.
Non è la prima volta: ricordate la MIR?
Prima ancora di arrivare al lieto fine di questa storia è giusto chiedersi quante altre volte vi sia stato un ritorno “violento”sul nostro pianeta di veicoli o strumenti spaziali. Un esempio celebre è quello della MIR: la stazione spaziale russa di tipo modulare, ormai obsoleta nonostante fosse ancora funzionante, rientrò nell’atmosfera terrestre il 23 marzo 2001, mediante una manovra controllata che portò la caduta dei suoi resti nell’Oceano Pacifico.
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Un rientro senza conseguenze (malgrado gli allarmismi)
Il problema è stato proprio questo: a causa dei guasti non era più possibile guidare la caduta della stazione spaziale cinese. C’era quindi un rischio, seppur molto basso, d’impatto in zone popolate situate tra le latitudini +42,8° e -42,8°, area in cui si trovano anche le regioni centrali e meridionali, comprese le isole, dell’Italia. È iniziato così il solito trambusto mediatico, incurante dei comunicati ufficiali e delle probabilità reali di scenari simili a quelli prospettati nelle migliori pellicole cinematografiche sul tema. Quando era previsto l’impatto distruttivo che ci avrebbe fatto estinguere come i dinosauri? Le date non erano certe ma le ultime stime indicavano i primi giorni di aprile. Così è stato: alle 2:16 (ora italiana) del 2 aprile 2018, lunedì dell’Angelo, il palazzo celeste ha terminato la sua corsa proprio nelle acque dell’Oceano Pacifico.
Nonostante i toni divertenti che abbiamo voluto usare per raccontare questa storia, un dato serio e importante è l’attenzione che numerosissime istituzioni scientifiche, tecnologiche e militari hanno dedicato a questo evento, in territorio nazionale e internazionale. Il monitoraggio ha mostrato di funzionare in maniera efficiente e questo è un risultato positivo in vista di altre circostanze potenzialmente pericolose che potrebbero riguardare l’attraversamento della nostra atmosfera da parte di altri corpi celesti.
Se non siete ancora sazi di avventure spaziali, acquistate e leggete l’articolo di Roberto Orosei e Barbara Cavalazzi “La ricerca di vita nell’Universo”, pubblicato nel numero di Sapere di ottobre 2017.
Immagine di copertina: Tiangong-1 in orbita. Credits: The Aerospace Corporation