Tra le pagine di cronaca e di tecnologia abbiamo spesso letto notizie che narravano dell’esplosione di batterie di smartphone o di altri oggetti elettronici di uso comune con conseguenze a volte drammatiche, come ustioni, incendi e persino incidenti in aereo. Questo succede quando delle batterie agli ioni di litio vengono danneggiate o utilizzate impropriamente. Un gruppo d ricercatori dell’Oak Ridge National Laboratory e della University of Rochester, ispirati dal comportamento di particolari liquidi, hanno progettato una soluzione pratica e poco costosa per evitare questo problema.
Tra le pagine di cronaca e di tecnologia abbiamo spesso letto notizie che narravano dell’esplosione di batterie di smartphone o di altri oggetti elettronici di uso comune con conseguenze a volte drammatiche, come ustioni, incendi e persino incidenti in aereo. Questo succede quando delle batterie agli ioni di litio vengono danneggiate o utilizzate impropriamente. Un gruppo d ricercatori dell’Oak Ridge National Laboratory e della University of Rochester, ispirati dal comportamento di particolari liquidi, hanno progettato una soluzione pratica e poco costosa per evitare questo problema.
Perché le batterie prendono fuoco?
Perché le batterie agli ioni di litio prendono fuoco? Gabriel Veith, uno degli autori della ricerca presentata al 256th National Meeting & Exposition of the American Chemical Society, ha spiegato: “In una batteria agli ioni di litio un sottile pezzo di plastica separa i due elettrodi. Se la batteria è danneggiata e lo strato di plastica viene meno, gli elettrodi possono entrare in contatto e l’elettrolita liquido della batteria può prendere fuoco”. Per rendere queste batterie più sicure alcuni ricercatori usano un elettrolita solido non infiammabile che, però, richiede una riorganizzazione significativa del processo di produzione. Il team di ricerca di Veith ha trovato un’alternativa, ossia mescolare un additivo all’elettrolita solitamente utilizzato, per renderlo resistente agli impatti: l’elettrolita così modificato si solidifica quando vi è un urto, prevenendo il contatto tra i due elettrodi in caso di caduta dell’oggetto o di scontro. Inoltre l’aggiunta dell’additivo non richiede grandi cambiamenti nel processo di manifattura delle batterie convenzionali.
Una gioco da ragazzi
Veith ha avuto quella che potremmo definire “illuminazione” guardando giocare i propri figli con acqua e amido di mais per preparare un mix chiamato oobleck, in realtà un materiale che gli scienziati conoscono con il nome di fluido non newtoniano.
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È detto non newtoniano un fluido la cui viscosità varia a seconda dello sforzo di taglio che viene applicato. Nello specifico, quando il mix di maizena e acqua viene versato, ad esempio su una leccarda per dolci, il fluido si comporta come un liquido ma, se iniziamo ad applicarvi una forza – il colpo di un cucchiaino o il rovesciamento repentino del contenitore in cui è riposto – si comporterà come un solido. Questa caratteristica dipende da un colloide, una sospensione di particelle solide molto piccole in un liquido. Se nel caso dell’oobleck il colloide è rappresentato dalle particelle di amido sospese nell’acqua, per la batteria i ricercatori hanno adoperato silice sospesa negli elettroliti liquidi solitamente introdotti nelle batterie agli ioni di litio. Nel momento dell’impatto le particelle in silice (perfettamente sferiche e aventi diametro pari a 200 nanometri) si raggruppano insieme, bloccando il flusso di fluidi e ioni.
Nuove applicazioni
Già altri laboratori avevano studiato il fenomeno dell’ispessimento al taglio – proprietà dei fluidi non newtoniani – per rendere le batterie più sicure ma i risultati di Veith sembrano essere più promettenti in quanto le particelle sferiche sono di più facile produzione e hanno una risposta più veloce rispetto alle alternative precedenti. Il vantaggio maggiore coinvolge il processo di produzione delle batterie: durante la manifattura di quelle tradizionali agli ioni di litio, un elettrolita è spruzzato all’interno dello spazio in cui è riposta la batteria stessa prima che l’apparecchio venga sigillato. Ma questa procedura non è eseguibile con un fluido newtoniano che solidificherebbe appena spruzzato. Inconveniente facilmente risolvibile per gli scienziati, i quali hanno suggerito di inserire prima le sfere di silice e dopo versare l’elettrolita: una nuova tecnica per cui stanno cercando di ottenere il brevetto. In futuro si sta progettando di migliorare ulteriormente il sistema in modo tale che la parte della batteria danneggiata da un colpo possa rimanere solida mentre il resto dell’apparecchiatura continua a funzionare. L’applicazione di questa tecnologia è per ora indirizzata alle batterie dei droni ma in futuro sarà aperta anche al mercato delle automobili.
Chissà se le macchine anti-edonistiche necessitano di batterie. Scopriamo questa e tante altre curiosità acquistando e leggendo l’articolo di Paolo Gallina pubblicato nel numero di dicembre 2017 di Sapere.