Li avrete visti applicati ai vestiti di una boutique o su alcuni prodotti presenti sugli scaffali dei supermercati. Forse li avrete confusi per strani codici a barre quando, invece, sono parte di una tecnologia ben più avanzata: sono i tag RFID. Nate per tracciare gli oggetti, queste particolari etichette sono state modificate dagli scienziati del MIT-Massachusetts Institute of Technology per diventare sensori ambientali. In che modo? Scopriamolo insieme.
Li avrete visti applicati ai vestiti di una boutique o su alcuni prodotti presenti sugli scaffali dei supermercati. Forse li avrete confusi per strani codici a barre quando, invece, sono parte di una tecnologia ben più avanzata: sono i tag RFID. Nate per tracciare gli oggetti, queste particolari etichette sono state modificate dagli scienziati del MIT-Massachusetts Institute of Technology per diventare sensori ambientali. In che modo? Scopriamolo insieme.
Cos’è il RFID?
RFID è l’acronimo di Radio-Frequency IDentification, una tecnologia che permette la localizzazione di oggetti mediante segnali radio. Essa è applicata a dei tag (o trasponder), speciali etichette contenenti le informazioni relative all’oggetto su cui sono poste. Queste ultime possono essere lette da un apposito apparecchio capace di captare i segnali radio riflessi o emessi dal tag stesso entro una determinata distanza. Oltre a essere uno strumento per identificare la posizione, l’etichetta può contenere al suo interno anche altre informazioni utili. Il trasponder è quindi un ricetrasmettitore che invia un segnale radio in risposta a un comando ricevuto da una stazione remota e potrà essere letto da un reader, ossia un dispositivo di lettura con modulo di elaborazione dati e antenna per la generazione del campo elettromagnetico che interroga il trasponder. Quest’ultimo, a sua volta, è un dispositivo elettronico composto da un chip, un’antenna per radio frequenze (RF) e un supporto che protegge e sostiene il sistema. Il chip è costituito da una memoria non volatile e un codice univoco (UID), il quale viene trasmesso tramite l’antenna RF al lettore che leggerà i dati ricevuti o li aggiornerà. Quando il tag è in prossimità del reader rifletterà il campo elettromagnetico che quest’ultimo emette. Tuttavia, non lo rimanderà indietro così com’era ma sarà in grado di modificarlo, trasmettendo, così, proprio le informazioni che esso contiene.
Le applicazioni del RFID sono numerose: dalla logistica in magazzini e trasporti, alla tracciabilità della filiera di prodotti alimentari, passando per l’antitaccheggio e persino l’archivistica.
Un nuovo approccio
Il nuovo approccio per l’utilizzo di questa tecnologia coinvolge le modalità di alimentazione del dispositivo. Esistono tag passivi, semi-attivi e attivi: nei primi il lettore emette un campo elettromagnetico che genera nell’avvolgimento elicoidale del tag una tensione che alimenta il chip, grazie al fenomeno dell’induzione, quindi sono alimentati dalla potenza irradiata dall’antenna del reader quando questo li interroga. I tag attivi sono alimentati da una piccola batteria e hanno la capacità di trasmettere senza essere interrogati; i semi-attivi hanno alimentazione indipendente ma devono essere interrogati per inviare informazioni.
I ricercatori del MIT hanno sperimentato diversi modi di trasformare RFID passivi in sensori in grado di lavorare per lunghi periodi di tempo, senza aver bisogno di batterie esterne. Solitamente questi sforzi si focalizzavano sulla modifica dell’antenna in maniera tale che le sue proprietà elettriche potessero cambiare in risposta a determinati stimoli provenienti dall’ambiente circostante. Partendo da questo presupposto, un’antenna dovrebbe riflettere le onde radio indietro verso il lettore con frequenze o con un’intensità del segnale differente in maniera caratteristica, indicando così il rilevamento di un determinato stimolo. Questo approccio portava, però, a diversi inconvenienti. Di conseguenza è stato necessario seguire una nuova via: invece di manipolare l’antenna, si è cercato di mettere mani sul chip. È stato utilizzato un chip integrato standard, progettato per passare da una modalità di alimentazione all’altra: da un’alimentazione basata sull’energia delle radio frequenze, simile a quella degli RFID passivi, a una assistita, prendendo energia da una batteria esterna o da un condensatore, come nei tag semi-attivi.
Il gruppo di ricerca ha inserito ciascun chip in un tag RFID con un’antenna a radio frequenze standard. Ha costruito, in seguito, un semplice circuito intorno alla memoria per permetterle di passare dall’alimentazione esterna solo in presenza di determinati stimoli. Una volta in questa modalità, il chip emette un nuovo codice di protocollo, diverso da quello normale trasmesso quando è in modalità passiva. Un lettore può, a questo punto, interpretare questo nuovo codice come un segnale che indica che gli stimoli di interesse sono stati rilevati.
La strada verso nuovi sensori ambientali
Per dimostrare il funzionamento del nuovo RFID, gli studiosi hanno sviluppato un sensore per il glucosio. Hanno adoperato un elettrodo apposito, riempito con degli elettroliti, il glucosio e l’enzima glucosio ossidasi: quando l’elettrolita interagisce con il glucosio, l’elettrodo produce una carica elettrica che avrà il ruolo di batteria esterna. I ricercatori hanno poi collegato questi elettrodi al chip e al circuito del RFID. Aggiungendo glucosio a ogni elettrodo, la carica risultante causava il passaggio dalla modalità passiva a quella alimentata dall’esterno e più glucosio era inserito, più a lungo il chip rimaneva nella seconda modalità. Alla luce di questo, il lettore sarà in grado di determinare la quantità di glucosio misurando il tempo in cui il chip è nella modalità assistita.
Ad ogni modo le performance di questo nuovo sensore sono peggiori di quelle dei normali sensori in vendita. A proposito di questo, Sai Nithin Reddy Kantareddy, studente presso il Department of Mechanical Engineering del MIT autore dell’articolo che descrive l’esperimento, ha spiegato che l’obiettivo dello studio non è stato lo sviluppo di un sensore RFID per il glucosio ma la dimostrazione che la progettazione messa a punto può essere manipolata in maniera tale da rivelare qualcosa di più di sensori basati su un’antenna, come ad esempio la quantità di anidride carbonica presente in determinate aree per un migliore monitoraggio ambientale.
Potete approfondire il tema dell’inquinamento atmosferico acquistando e leggendo l’articolo “Qualità dell’aria e salute” di Sandro Fuzzi, pubblicato sul numero di febbraio 2016 di Sapere.
Immagine di copertina: tag RFID. Credits: Scott Lewis on Flickr (Licenza CC BY 2.0)