Il rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) recentemente pubblicato ci ha messo in guardia sulle conseguenze del riscaldamento globale. In realtà stiamo già sperimentando gli effetti del global warming ma, in un futuro neanche troppo lontano, saranno i piccoli piaceri che ci concediamo a tavola a ricordarci quanto abbiamo danneggiato il nostro pianeta. Un boccale di birra, una tazzina di caffè, un cubetto di cioccolato o un calice di vino potrebbero diventare un lusso.
Il rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) recentemente pubblicato ci ha messo in guardia sulle conseguenze del riscaldamento globale. In realtà stiamo già sperimentando gli effetti del global warming ma, in un futuro neanche troppo lontano, saranno i piccoli piaceri che ci concediamo a tavola a ricordarci quanto abbiamo danneggiato il nostro pianeta. Un boccale di birra, una tazzina di caffè, un cubetto di cioccolato o un calice di vino potrebbero diventare un lusso.
Meno birra e più costosa a causa della scarsità d’orzo
Secondo una ricerca della University of East Anglia pubblicata su Nature plants, eventi meteorologici estremi potrebbero causare una diminuzione nei rifornimenti di birra mondiali. La bevanda è l’alcolico più popolare nel mondo per volume consumato e i raccolti di orzo, l’ingrediente principale delle nostre amate bionde, sono destinati a subire un calo netto in periodi di grave siccità e caldo. Gli scienziati hanno adoperato due modelli di previsione legati alle coltivazioni e all’economia globale per valutare gli effetti dei suddetti cambiamenti proiettati in una serie di possibili scenari climatici futuri. I risultati non sono incoraggianti: gli eventi estremi porteranno a una perdita media nella produzione di orzo compresa tra il 3 e il 17%, a seconda della gravità delle condizioni. La mancanza del cereale condurrà a un’ampia diminuzione della materia prima per la produzione di birra che, a sua volta, vedrà un sensibile calo nel suo consumo e un picco nei prezzi (ad esempio, in Irlanda, potrebbe esserci un incremento del 193%).
Il caffè: un lusso già minacciato da malattie e parassiti
È la varietà arabica (Coffea arabica) la più minacciata non solo da malattie e parassiti ma anche dai cambiamenti climatici. La pianta è originaria dell’Etiopia e dello Yemen: sensibile al caldo e all’umidità, attualmente è coltivata in tutte le regioni tropicali, tra i 600 e i 2000 metri sul livello del mare, in zone piovose, dalla temperatura media di 20°C. È una varietà fragile, suscettibile a patologie quali la “ruggine del caffè”, dovuta al fungo Hemileia vastatrix, e ad attacchi parassitari, come quelli del piccolo e terribile coleottero Hypothenemus hampei.
Purtroppo le coltivazioni presentano una diversità genetica del 1,2% che, confrontata con i valori di quella del riso o della soia, che superano il 20%, ci permette di capire quanto la Coffea arabica sia meno in grado di adattarsi a modificazioni ambientali. Uno studio pubblicato nel 2017 dai Royal Botanic Gardens di Londra ha stimato che gli effetti del riscaldamento globale interesseranno circa il 60% dei terreni dedicati alla coltivazione della varietà arabica in Etiopia – il produttore principale – che non saranno più adatti alla coltura del caffè entro la fine di questo secolo.
Tra le soluzioni proposte ci sono nuovi pesticidi e tecniche di ingegneria genetica ma la World Coffee Research, un’organizzazione che comprende i produttori di caffè di tutto il mondo, ha esternato la propria preferenza verso metodi più tradizionali e sostenibili quali gli incroci (crossbreeding) e il miglioramento delle pratiche agricole.
Clima e cioccolato: la risposta nella tradizione
Il cacao (Theobroma cacao) può crescere solo all’interno della fascia geografica compresa tra il 20° parallelo a nord e il 20° parallelo a sud dell’equatore, in condizioni specifiche che includono temperature uniformi, valori di umidità elevati, piogge abbondanti, un suolo ricco in azoto e protezione dall’azione dei venti. Tutto questo è racchiuso nelle foreste pluviali. I maggiori produttori mondiali di cacao sono la Costa d’Avorio, il Ghana e l’Indonesia ma le ricerche contenute nel report del 2014 dell’IPCC sottolineano che se raggiungeremo un aumento delle temperature di 2,1°C, osserveremo una riduzione significativa delle aree adatte alla coltivazione dell’ingrediente principale del cioccolato.
Anche in questo caso le possibilità al vaglio per salvare le raccolte sono molteplici. Si potrebbero spostare ad altitudini maggiori le coltivazioni ma questo porterebbe alla distruzione dell’habitat presente che, invece, va protetto. Una strategia di adattamento potrebbe essere la selezione di semi con caratteristiche di maggiore resistenza alla siccità oppure adoperare un metodo di coltivazione tradizionale che si avvantaggia di condizioni in cui il cacao cresce normalmente. Si chiama Cabruca ed è sistema adottato in Brasile, grazie al quale sono conservati o piantati nuovamente alberi della foresta pluviale, capaci di proteggere le piantagioni di cacao fornendo temperature più basse e favorendo l’evapotraspirazione.
Ricerca e agricoltura per salvare la produzione di vino
Anche in ambito enologico non mancheranno difficoltà. Però l’impatto del global warming sui vitigni potrebbe essere mitigato dallo sfruttamento della diversità esistente tra le numerose coltivazioni: tra le 1.100 varietà piantate, l’uva possiede una vastissima diversità – ancora poco esplorata – proprio nei tratti legati alle risposte delle piante al clima, come ad esempio la fenologia (fenomeni biologici periodici correlati alle condizioni climatiche) e la tolleranza alla siccità. In un settore come questo, alla luce dello stato dell’arte e delle prospettive future, descritte nel lavoro pubblicato su Nature climate change da un team internazionale di scienziati provenienti dalla Harvard University (Stati Uniti), dal francese Institut National de la Recherche Agronomique e dal Lund University Centre for Sustainability Studies (Svezia), la collaborazione tra agricoltori e ricercatori sarà fondamentale per salvare la produzione di vino.
I cambiamenti climatici stanno così iniziando a mostrare il loro impatto su agricoltura, alimentazione ma anche sull’economia e sui nostri stili di vita che, in futuro, in un modo o nell’altro, dovranno mutare. Per approfondire questo argomento acquistate e leggete l’articolo “Cibo, energia, futuro: opinioni a confronto” di Franco Miglietta, Francesco Loreto, Andrea Segrè, Francesco Salamini, Paolo De Castro, pubblicato sul numero di giugno 2016 di Sapere.