Le immagini raccolte dai droni, oltre a essere spesso suggestive, rivestono una grande utilità nello studio del paesaggio. Lo sanno bene gli scienziati dell’INGV -Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e dell’Università Blaise Pascal di Clermont Ferrand (Francia) che, con un sistema combinato drone-fotogrammetria, hanno ricostruito un modello tridimensionale e ad alta risoluzione del campo lavico del fianco occidentale dell’Etna, risalente al 1974. Questa ricerca, pubblicata sulla rivista Bulletin of Volcanology, mostra come le nuove tecnologie possano migliorare lo studio della struttura superficiale delle colate laviche e il monitoraggio di eruzioni effusive.
Le immagini raccolte dai droni, oltre a essere spesso suggestive, rivestono una grande utilità nello studio del paesaggio. Lo sanno bene gli scienziati dell’INGV -Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e dell’Università Blaise Pascal di Clermont Ferrand (Francia) che, con un sistema combinato drone-fotogrammetria, hanno ricostruito un modello tridimensionale e ad alta risoluzione del campo lavico del fianco occidentale dell’Etna, risalente al 1974. Questa ricerca, pubblicata sulla rivista Bulletin of Volcanology, mostra come le nuove tecnologie possano migliorare lo studio della struttura superficiale delle colate laviche e il monitoraggio di eruzioni effusive.
Una mappa tridimensionale per conoscere il vulcano
Per prevedere con un maggior livello di precisione e accuratezza i fenomeni vulcanici e le loro evoluzioni è necessario disporre di strumenti che permettano di costruire modelli digitali del terreno aggiornati e dettagliati, possibilmente realizzati in tempi brevi e con costi non eccessivi. La risposta a questa esigenza è descritta nell’articolo “UAV-based remote sensing surveys of lava flow fields: a case study from Etna’s 1974 channel-fed lava flows” (Sondaggi in remote sensing di campi lavici basati su UAV: un caso di studio dal flusso di lava dell’Etna alimentato da canali nel 1974). UAV è l’acronimo di “Unmanned Aerial Vehicle”, in italiano “aeromobile a pilotaggio remoto”: stiamo parlando di un drone. Perché investigare gli effetti di un evento naturale avvenuto più di quarant’anni fa? Gli archivi dell’INGV ci raccontano che in quell’anno il vulcano fu interessato da quella che è definita un’eruzione (di fianco) eccentrica: non alimentata attraverso i condotti centrali ma da nuovi condotti indipendenti che, quindi, non necessariamente portano alla cessazione dell’attività sommitale. In questi casi il magma è più ricco in gas – perché non lo perde lungo la risalita – e, per questo motivo, tali eruzioni sono più fortemente esplosive e spesso portano alla formazione di coni piroclastici di notevoli dimensioni. Da quell’evento nacquero, infatti, il Monte De Fiore I e il Monte De Fiore II, attualmente osservabili sul versante occidentale dell’Etna.
Droni, Structure for Motion e modelli digitali del terreno
“In un vulcano attivo come l’Etna”, ha spiegato Alessandro Fornaciai, ricercatore dell’INGV della Sezione di Pisa, “è fondamentale aggiornare con frequenza la topografia dell’edificio vulcanico. Infatti, i DTM costituiscono un ingrediente fondamentale per poter usare i modelli che cercano di prevedere, ad esempio, il percorso che seguirà una colata di lava in caso di un’eruzione effusiva. Per avere risultati attendibili è, però, necessario che i dati topografici siano accurati e costantemente aggiornati. La fotogrammetria Structure from Motion (SfM) ha aperto nuovi scenari applicativi anche in vulcanologia, perché permette di produrre modelli digitali del terreno ad alta risoluzione, in modo rapido e con costi contenuti”. Cosa sono i DTM e in cosa consiste la fotogrammetria Structure from Motion?
Vista prospettica 3D del campo lavico del 1974. In evidenza il Monte De Fiore II e alle sue spalle il Monte De Fiore I. Credits: INGV
Esistono i DEM, Digital Elevation Model, modelli digitali di elevazione che sono, genericamente, superfici statistiche in cui a un numero finito di coppie (x,y), nel nostro caso saranno le coordinate geografiche, viene attribuita una z, l’elevazione, una quota. Questi dati sono raccolti con differenti strumenti e, una volta inseriti in un computer ed elaborati con opportuni software, ci permettono di ricostruire la topografia digitale dell’area interessata. Nello specifico, quando parliamo di DTM, Digital Terrain Model, modelli digitali del terreno, ci riferiamo, invece, alla ricostruzione di una superficie topografica filtrata, ripulita da tutti gli elementi naturali e antropici che si elevano dal terreno quali possono essere alberi o edifici. Come arrivare a questo tipo di elaborazione? In questa ricerca è stata adoperata la fotogrammetria Structure from Motion, tecnica che permette di ottenere un modello digitale 3D partendo da un set di immagini. La SfM, basata su algoritmi di computer vision, consente di ricostruire oggetti in tre dimensioni partendo da punti estrapolati da immagini 2D, ad esempio quelli raccolti da un drone, attraverso parametri fotografici quali lunghezza focale, dimensioni del sensore, distorsioni e pixel.
Il confronto con il LiDAR
“In questo studio è stato usato un drone, o per meglio dire, un Sistema Aeromobile a Pilotaggio Remoto (SAPR), a sei eliche”, ha raccontato Luca Nannipieri, tecnologo dell’INGV e pilota del drone, “in grado di volare per circa 20 minuti. Autonomia che ha consentito di sorvolare grandi aree, in tutta sicurezza, acquisendo informazioni anche in zone di difficile accesso”.
Il drone utilizzato per l’acquisizione fotografica. Credits: INGV
Il modello digitale del terreno del campo lavico del 1974, ricostruito con il sistema drone-fotogrammetria SfM, è stato poi confrontato con il modello ottenuto mediante Light Detection and Ranging (LiDAR): una scansione laser effettuata dall’alto – la strumentazione è posizionata a bordo di un aereo o montata su un drone – e in cui ogni punto registrato possiede le proprie coordinate geografiche e l’altezza. “I due modelli non solo sono del tutto comparabili”, ha affermato Fornaciai nel comunicato stampa INGV, “ma con l’uso del drone e delle tecniche di SfM è stato possibile costruire un modello digitale ancora più dettagliato che ha permesso di vedere e di ricostruire strutture presenti sulla superficie della lava non individuabili con il LiDAR”. “Infine”, ha concluso Sonia Calvari, dirigente di Ricerca dell’INGV di Catania, “i vantaggi logistici, la rapidità di acquisizione delle foto e della ricostruzione del modello del terreno ottenuti, grazie al sistema drone e fotogrammetria SfM, offrono nuove opportunità di monitoraggio e di sorveglianza di un vulcano attivo in caso di un’eruzione”.
Gli strati rocciosi, proprio come il paesaggio, conservano memoria della loro evoluzione e degli eventi, anche violenti, che li hanno plasmati. Se desiderate approfondire questo argomento non vi resta che acquistare e leggere “Il libro dei terremoti scritto nelle rocce” di Paolo Galli, pubblicato nel numero di giugno 2018 di Sapere.