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28 Gen 2019

LSD: un acido che ha fatto la storia – Le origini

Francesco Milano

Francesco Milano
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Qualche tempo fa mi è stato proposto di scrivere un articolo sull’LSD (dietilammide-25 dell’acido lisergico), sulla scia del clamore mediatico suscitato dal primo trial clinico per lo studio degli effetti del cosiddetto “microdosing”. È diventato abbastanza popolare, specialmente tra chi lavora nel campo della tecnologia (come nella Silicon Valley), assumere piccole dosi di questa sostanza psichedelica per migliorare creatività, energia e umore. Nel caso dell’LSD si tratta di quantità che si aggirano intorno ai 10-20 µg, mentre una dose normale è dai 50 µg in su. Questa droga è, infatti, una delle sostanze psicoattive più potenti, essendo, ad esempio, 100 volte più attiva della psilocibina e 4000 volte più attiva della mescalina.

Qualche tempo fa mi è stato proposto di scrivere un articolo sull’LSD (dietilammide-25 dell’acido lisergico), sulla scia del clamore mediatico suscitato dal primo trial clinico per lo studio degli effetti del cosiddetto “microdosing”. È diventato abbastanza popolare, specialmente tra chi lavora nel campo della tecnologia (come nella Silicon Valley), assumere piccole dosi di questa sostanza psichedelica per migliorare creatività, energia e umore. Nel caso dell’LSD si tratta di quantità che si aggirano intorno ai 10-20 µg, mentre una dose normale è dai 50 µg in su. Questa droga è, infatti, una delle sostanze psicoattive più potenti, essendo, ad esempio, 100 volte più attiva della psilocibina e 4000 volte più attiva della mescalina.

 

La prima cosa che ho pensato quando ho saputo del “microdosing” è che questi genietti dell’informatica devono essere abbastanza folli per fare una cosa del genere. Drogarsi? Ma non crea dipendenza? Non si tende ad aumentare le dosi? Le cellule cerebrali non vengono progressivamente e irreversibilmente danneggiate? La risposta a queste domande sarebbe stata certamente sì, se l’LSD fosse stata una droga come tutte le altre, tipo l’eroina, la cocaina, le anfetamine, e persino l’alcol o il tabacco. La messa al bando dell’LSD, avvenuta alla fine degli anni Sessanta, in effetti, ha equiparato nell’immaginario collettivo questa sostanza alle droghe più pesanti facendo cadere nell’oblio la sua reale natura e la sua affascinante storia. Cercherò quindi di rimediare e sfatare alcuni miti, ricordando comunque che l’LSD, utilizzato sotto stretto controllo medico, può essere un formidabile alleato in diversi campi clinici ma, se usato male, diviene seriamente pericoloso.

 

Andiamo con ordine. Quando si pensa all’LSD viene automatico associarlo al termine “psichedelico”, che a sua volta ci riporta a visioni estremamente colorate e artefatte che si agitano immateriali davanti ai nostri occhi, in uno stato di coscienza alterato. L’etimologia del termine, però, rivela un significato profondamente diverso in quanto deriva dalle parole greche ψυχή (psykhé, anima) e δῆλος (dêlos, chiaro, evidente), nel senso di “allargamento della coscienza”. In generale si definiscono psichedeliche quelle sostanze capaci di espandere la coscienza o causare amplificazioni e alterazioni sensoriali, con poca o nessuna dipendenza indotta. A questa classe appartengono, oltre all’LSD, anche la mescalina, la psilocibina e il DMT (dimetiltriptammina).

 

L’LSD fu sintetizzato per la prima volta a Berna dal chimico svizzero Albert Hofmann, nel 1938, a partire dall’estratto di un fungo che attacca la segale (generando una malattia nota come segale cornuta), mentre era alla ricerca di un farmaco per ridurre il sanguinamento eccessivo nel post partum, presso i laboratori Sandoz (oggi Novartis). Fu solo nel 1943, però, che le proprietà psicoattive dell’LSD vennero alla luce, quando lo stesso Hofmann se ne fece inavvertitamente cadere una goccia sulla mano. “Caleidoscopiche, fantastiche immagini si agitavano dentro di me, si alternavano, variopinte, si aprivano e si richiudevano in cerchi e spirali, esplodendo in zampilli colorati. Poi si riorganizzavano, si incrociavano, in continuo mutamento”. Con queste parole il chimico descrisse la sua prima esperienza (chiamata in gergo “trip”) volontaria ottenuta con una dose di 250 µg, che lui erroneamente giudicò sufficientemente piccola, ma in realtà tale da indurre quello che è definito “bad trip”. Fu dopo vari tentativi nel corso degli anni successivi che si arrivò a stabilire intorno ai 60 µg la dose per sperimentare un “good trip”.

 

È impossibile descrivere cosa si provi sotto l’effetto dell’LSD senza sperimentarlo in prima persona, tuttavia è possibile tracciare una scala di effetti tipici che variano in base alla dose, al setting (luogo, situazione e compagnia al momento della somministrazione) e al set (il proprio stato d’animo, la predisposizione mentale, la sensibilità individuale). L’LSD, infatti, è un amplificatore delle percezioni interiori ed esteriori: sensazioni in contesti piacevoli saranno accresciute così come lo sarà la negatività di stati d’animo e contesti spiacevoli. A dosi moderate si ha alterazione della coscienza e della memoria, euforia, beatitudine, perdita di lucidità, rallentamento dei riflessi, aumento della sensibilità musicale; a dosi medie si hanno allucinazioni geometriche, amplificazioni sensoriali di suoni, colori, odori e sapori, distorsione della consapevolezza del tempo, dello spazio e del sé, ovvero perdita dell’io con contemporaneo senso di unione con l’ambiente circostante. In alcuni casi si può sperimentare la sinestesia, ossia la fusione, in un’unica sfera sensoriale, delle percezioni di sensi distinti: è possibile, ad esempio, vedere forma e massa di suoni o sentire il sapore di colori. Ad alte dosi, a seconda dell’individuo e delle circostanze, è in grado di provocare attacchi di panico e senso di estrema ansia. In genere l’effetto dura per un periodo relativamente prolungato, dalle 10 alle 16 ore.

 

L’LSD, contrariamente ad altre droghe comuni, non produce dipendenza fisica, ma semplicemente il desiderio di ripetere l’esperienza, mentre la tolleranza cresce molto rapidamente a seguito di uso continuativo, per decrescere altrettanto rapidamente dopo pochi giorni di astinenza. Non esistono casi di morte documentati per azione tossica diretta, mentre sono riportati numerosi incidenti, comportamenti autolesionistici e casi di suicidio indotti dalle alterazioni sensoriali successivi all’uso della sostanza. Sono stati questi effetti collaterali, tra le altre cose, a indurre la messa al bando della sostanza quando la sua diffusione era arrivata all’apice, alla fine degli anni Sessanta.

Francesco Milano
Francesco Milano
Francesco Milano è ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche presso la sede di Bari dell’Istituto per i Processi Chimico-Fisici. Laureato in Chimica nel 1997, è da anni impegnato nello studio della fotosintesi, nella cattura dell’energia associata alla luce solare e sua trasformazione in energia chimica.
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