Non avevo ancora finito il liceo quando mio padre mi regalò “La mente nuova dell’imperatore”, un tomo di oltre 600 pagine scritto da un fisico inglese di nome Roger Penrose (a me all’epoca sconosciuto) che occhieggiava con un sorriso arguto dalla quarta di copertina. Parlava di mente, computer, algoritmi e delle leggi della fisica.
La tassellatura di Penrose
La parte che catturò la mia immaginazione e nutrì la mia curiosità fu quella che riguardava un problema di mattonelle. Sì, all’apparenza sembrava un lavoro più da piastrellisti che da scienziati – come ricoprire con piastrelle dalle forme poligonali un piano, o una parete. Nel libro di Penrose, questa disposizione di forme nel piano euclideo si chiama tassellatura, e in quelle pagine scoprii che le tassellature del piano sono possibili usando solo quadrati, o triangoli equilateri, o esagoni regolari, ma non per esempio pentagoni regolari. Poi si poteva tassellare il piano con svariate forme singole, o, per complicare un po’ le cose, con una coppia di forme, o con forme irregolari. Si potevano proporre tassellature periodiche o non periodiche: alcune vennero chiamate proprio “tessere di Penrose”, perché per primo Penrose ne aveva scoperto e formalizzato le proprietà.
Mi restò un’impressione potente di mondi sconosciuti, e vasti, da visitare e da scoprire sulle ali di una mente acuta, allenata, capace di “vedere” e di usare la geometria e la matematica per descrivere i dettagli, le sfumature, le potenzialità di quei luoghi.
Il premio Nobel per la Fisica 2020
Poi per me sono venuti gli anni dell’università, durante i quali la fisica dei buchi neri ha rappresentato l’oggetto dei miei studi e delle mie ricerche. Con un misto di gioia ed eccitazione ho dunque appreso che una metà del premio Nobel per la Fisica 2020 è stato assegnato a Roger Penrose «per gli ingegnosi metodi matematici che utilizzò per dimostrare che l’esistenza dei buchi neri era una conseguenza diretta della teoria della Relatività Generale di Albert Einstein». L’altra metà è stata assegnata congiuntamente al fisico tedesco Reinhard Genzel e alla fisica americana Andrea Ghez «per la scoperta di un oggetto compatto super-massiccio al centro della nostra galassia».
Possiamo quindi affermare che il premio Nobel è stato assegnato, oltre che a questi tre grandi scienziati, e con loro alla vasta comunità di fisici teorici e astrofisici che lavorano sulla fisica dei buchi neri, anche ai buchi neri stessi, questi esotici, misteriosi, sfuggenti oggetti dell’Universo. Per me restano sempre e ancora i più affascinanti dell’intero cosmo.
Buchi neri: da Penrose a Einstein
Viviamo in tempi incredibilmente proficui e maturi per la fisica dei buchi neri: nell’aprile 2019, grazie alla collaborazione internazionale Event Horizon Telescope, è stata mostrata la prima “immagine” dell’ombra del buco nero supermassiccio situato al centro della galassia M87, e nel febbraio 2016 le collaborazioni LIGO e VIRGO hanno confermato la rilevazione diretta delle onde gravitazionali emesse dalla fusione di due buchi neri.
Ricordo ancora che a Parigi, durante il primo anno della mia scuola dottorale, un compagno di studi astronomo osservativo mi disse: “Ma siamo poi sicuri che i tuoi buchi neri esistano?”. Era ovviamente una provocazione, ma anche Einstein stesso stentava a credere che i buchi neri, contenuti nelle pieghe più sottili e sconvolgenti della sua teoria della relatività, esistessero davvero…
Fu Penrose, con il suo rivoluzionario articolo pubblicato nel gennaio del 1965, dieci anni dopo la morte di Einstein, a dimostrare matematicamente che i buchi neri possono davvero formarsi e a descriverli nei dettagli. Oggi la tecnologia matura ci ha permesso di “vederli” e di “sentirli”.
Ma quell’articolo di Penrose, che oggi gli è valso un meritatissimo premio Nobel per la Fisica, resta ancora il più importante contributo alla teoria della relatività dopo Einstein.