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10 Feb 2021

La scienza della fotografia digitale: le immagini digitali

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In questa nuova rubrica, vi illustrerò la fotografia digitale dal punto di vista scientifico.

 

Quando è nata la fotografia digitale?

Tutto inizia nel 1975 quando Steven Sasson, un ricercatore della Kodak, mette a punto la prima fotocamera digitale della storia, ovviamente un prototipo. Kodak, leader nel settore della fotografia analogica, capisce immediatamente le potenzialità del digitale e, temendo cali di vendite delle pellicole fotografiche, non spinge oltre il progetto.
Sarà la Sony, nel 1981, a lanciare sul mercato la prima fotocamera digitale. Con immagini da 0,3 megapixel, la Sony Mavica dà inizio a una nuova èra per la fotografia.

 

Cosa sono davvero le immagini digitali?

Oggi scattiamo foto quotidianamente, anche come promemoria, è facilissimo, in un attimo abbiamo l’immagine della scena ripresa, ma è davvero tutto così semplice?
Beh, probabilmente vi sorprenderà sapere che quell’immagine che abbiamo immediatamente disponibile appena facciamo clic, non è ciò che ha letto il sensore. Sapete perché non può esserlo? Perché quell’immagine è a colori, mentre i sensori sono monocromatici, non leggono i colori.
Bene… anzi, male, ancora non abbiamo iniziato che già si prospetta complicata. Per condire il tutto, si aggiungono anche una serie di errori concettuali molto diffusi che dovrò chiarire, alcuni dei quali sono legati alle immagini digitali e alla teoria del colore.
Vedremo nel prossimo articolo come si ricavano immagini a colori da sensori monocromatici, ora, per potervi spiegare la fotografia digitale ho la necessità di partire dalle immagini digitali.
Le fotografie digitali sono immagini virtuali che devono essere visualizzate su un dispositivo come il monitor, per esempio, e sono composte da pixel, cioè tanti quadratini affiancati come in una pagina a quadretti.

 

fig 1a - Le immagini digitali

Immagine intera della foto di un pagliaccio

 

 

 fig 1b - Le immagini digitali

Ingrandimento di un particolare di un occhio del pagliaccio, in cui sono ben visibili i pixel dell’immagine.

 
Pixel e colori: il Metodo Colore RGB

Ogni pixel ha un suo colore ben preciso, codificato in una terna di colori: Red, Green e Blu (rosso, verde e blu). Stiamo parlando del Metodo Colore RGB, definito “sintesi additiva dei colori”. Rosso, verde e blu sono i colori primari con i quali otteniamo tutti i colori a nostra disposizione.
Monitor e display generano le immagini attraverso fonti luminose, R, G e B sono i Canali del Metodo Colore RGB che, quindi, è somma di illuminanti. Ognuno può assumere un valore compreso fra 0 e 255, in pratica uno di 256 livelli, considerateli livelli di “luminosità”.
Il colore nelle stampe tipografiche, invece, viene ottenuto da pigmenti, gli inchiostri, i cui colori primari sono Cyan, Magenta e Yellow (ciano, magenta e giallo). Per ragioni tecnologiche ai tre colori primari viene aggiunto l’inchiostro nero, rappresentato dalla lettera K (deriva da “Key” e sta per chiave di registro della stampa tipografica).
Stiamo parlando del Metodo Colore CMYK, definito “sintesi sottrattiva dei colori”. Le immagini destinate alla stampa tipografica devono essere quindi convertite in questo metodo colore. Ogni pixel sarà codificato dai quattro canali C, M, Y, K, che sono i colori delle quattro lastre tipografiche.
Ho accennato anche a questo metodo colore perché sia chiaro il concetto di colori primari e di metodi colore. Sommando la luce rossa con quella verde e quella blu, percepiamo una luce bianca. Ma mescolando pigmenti (inchiostri) di qualsiasi colore, non otterremo mai il bianco. Il bianco è quello della carta su cui stampiamo, nei punti in cui non viene depositato alcun inchiostro.
Se stampiamo le immagini con la nostra stampante lasciandole in “RGB”, la conversione sarà automatica. Tuttavia le cose non sono così semplici. Non tutti i colori che vediamo a monitor possono essere riprodotti in una stampa, così come non tutti i colori contenuti nei file possono essere riprodotti dai monitor, come vedremo ancora meglio in seguito.

 

Quanti sono i colori?

Dicevamo che i file riportano le informazioni sul colore di ciascun pixel.
La terna di valori 0R, 0G, 0B rappresenta il colore nero (“luminosità” pari a zero per ciascun canale), mentre 255R, 255G, 255B rappresenta il bianco (massima “luminosità” per ciascun canale).
Tre valori identici di R, G e B, danno origine a grigi neutri, più scuri con valori bassi, più chiari con valori alti. Ma i canali possono avere valori differenti fra loro e produrre tantissimi colori diversi. Le combinazioni possibili sono quasi 17 milioni, bisogna moltiplicare 256 x 256 x 256, che sono i livelli di ciascun canale.


Ricapitolando

•    Le immagini digitali sono composte da quadratini colorati detti pixel.
•    Sono codificate nel Metodo Colore RGB, cioè ogni pixel è rappresentato dai valori dei tre canali.
•    I valori, o per meglio dire, i livelli dei canali sono 256 e vanno da 0 a 255.
•    Il Metodo colore RGB è detto anche sintesi additiva dei colori ed è somma di illuminanti.
•    Il Metodo colore CMYK è detto anche sintesi sottrattiva dei colori e si basa sui pigmenti.

Sergio Nuzzo
Sergio Nuzzo
Tecnico elettronico, ha iniziato la carriera lavorativa nell’ambito della strumentazione scientifica, lavorando per due delle più importanti aziende a livello mondiale, in veste di Field Service Engineer. Dal 1994 è Collaboratore Tecnico dell’Istituto per i Processi Chimico-Fisici, sede di Bari, del Consiglio Nazionale delle Ricerche.Fotoamatore fin da giovanissimo, sviluppa particolare interesse per la scienza e la tecnologia della fotografia digitale. Grazie alle conoscenze acquisite con i suoi studi, con l’autorizzazione del suo Ente, ha collaborato con un’importante azienda del settore fotografico, tenendo corsi e lezioni aperte per fotografi professionisti.
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