L’ipotesi che il sistema immunitario, che protegge il nostro organismo da componenti “estranee”, potesse essere utilizzato come arma per riconoscere le cellule cancerose ed eliminarle, era stata formulata già alla fine del XIX secolo. Solo dagli anni ’90 del secolo scorso però esperimenti condotti nei laboratori di James P. Allison e Tasuku Honjo hanno per la prima volta indicato che la strada era realmente promettente, dando il via allo sviluppo di quelli che oggi vengono definiti inibitori dei checkpoint immunologici, utilizzati in terapie oncologiche. Per queste scoperte i due scienziati hanno ricevuto il premio Nobel 2018 per la Medicina.
L’ipotesi che il sistema immunitario, che protegge il nostro organismo da componenti “estranee”, potesse essere utilizzato come arma per riconoscere le cellule cancerose ed eliminarle, era stata formulata già alla fine del XIX secolo. Solo dagli anni ’90 del secolo scorso però esperimenti condotti nei laboratori di James P. Allison e Tasuku Honjo hanno per la prima volta indicato che la strada era realmente promettente, dando il via allo sviluppo di quelli che oggi vengono definiti inibitori dei checkpoint immunologici, utilizzati in terapie oncologiche. Per queste scoperte i due scienziati hanno ricevuto il premio Nobel 2018 per la Medicina.
Togliere i freni alle cellule T
Le cellule T sono attori chiave nella risposta immunitaria. La scoperta che, oltre ai recettori necessari per il riconoscimento degli antigeni, altre proteine presenti in queste cellule hanno ruoli importanti come “acceleratori” o “freni” del sistema, per modulare la risposta, ha posto le fondamenta per le ricerche che hanno portato al Nobel. Infatti Allison e Honjo hanno studiato due “freni” delle cellule T, le molecole CTL-4 e PD-1. Allison ha perseguito l’idea che l’inibizione della proteina CTL-4, utilizzando un anticorpo monoclonale specifico, potesse rendere le cellule T in grado di attaccare le cellule cancerose. L’esperimento chiave diede risultati spettacolari di inibizione della formazione tumorale in un sistema modello murino (topi). Da quel momento Allison con perseveranza cercò di trasferire alla clinica le conoscenze acquisite, ottenendo nel 2003 i primi risultati promettenti delle sperimentazioni, che nel 2010 dimostrarono chiaramente il significativo contributo di tali inibitori nel trattamento dei melanomi, portando alla loro introduzione nelle terapie oncologiche. Simile percorso è stato fatto negli studi di Honjo su un altro “freno” delle cellule T, la molecola PD-1, e sulla sua inibizione con anticorpi monoclonali. Anche in questo caso i risultati delle sperimentazioni cliniche sono stati positivi e i trattamenti sono stati approvati per diversi tipi di tumori. Questo secondo trattamento è anche migliore dell’inibizione di CTL-4, perchè scatena in maniera minore risposte autoimmuni, uno dei principali problemi di questi approcci.
La ricerca di base e le applicazioni terapeutiche
A più di 15 anni dalla prima iniezione di anticorpi anti-CTL-4 in un paziente, l’utilizzo di inibitori del checkpoint immunitario, anche in maniera combinata, ha modificato in maniera drastica la situazione per pazienti con melanoma metastatico avanzato, e promette sviluppi e applicazioni importanti in terapie oncologiche di vari tumori. Mi piace concludere con le parole di Alisson in una delle interviste rilasciate in occasione del riconoscimento del premio Nobel, per sottolineare che l’amore per la conoscenza è quello da cui partono le principali scoperte dell’umanità, anche in campo clinico: “Non ho intrapreso questi studi per cercare di curare il cancro. Li ho iniziati perchè volevo capire come funzionassero le cellule T…sono stato fortunato, come scienziato di base, perchè ho potuto vedere come il mio lavoro, 20 anni dopo, abbia finito per aiutare veramente i pazienti”.
Immagine di copertina: James P. Allison e Tasaku Honjo in una illustrazione di Niklas Elmehed. Copyright: Nobel Media AB 2018