Anche in questo appuntamento con Scienza e beni culturali, la nostra attenzione sarà rivolta alla ricostruzione 3D di un cranio. No, non parleremo ancora di paleopatologia. Scopriremo, invece, quanto l’espressività del volto dei nostri antenati possa aver giocato un ruolo nella nostra evoluzione. È il caso di dirlo: uno sguardo può fare la differenza.
Anche in questo appuntamento con Scienza e beni culturali, la nostra attenzione sarà rivolta alla ricostruzione 3D di un cranio. No, non parleremo ancora di paleopatologia. Scopriremo, invece, quanto l’espressività del volto dei nostri antenati possa aver giocato un ruolo nella nostra evoluzione. È il caso di dirlo: uno sguardo può fare la differenza.
Chi di voi è un appassionato di telefilm, conoscerà sicuramente Cal Lightman, il protagonista di “Lie to me” impersonato da Tim Roth. Lightman è uno psicologo esperto in comunicazione non verbale e sa bene quanto il linguaggio del corpo possa essere importante ai fini di un’indagine poliziesca come nella vita di tutti i giorni. Forse, però, non immaginerebbe che la capacità di esprimere un grande numero di emozioni attraverso il movimento delle sopracciglia possa aver rivestito un ruolo cruciale nella sopravvivenza umana. È questo ciò che affermano gli studi condotti dall’Università di York (Regno Unito) e della Universidade do Algarve di Faro (Portogallo).
Inizialmente arcate sopraccigliari particolarmente sporgenti erano un segno di dominazione e aggressività ma, in seguito, l’uomo moderno è passato a delle sopracciglia molto meno accentuate, in grado di muoversi e garantire capacità di comunicazione tali da permettere di intrecciare una più grande rete di rapporti sociali. Uno sguardo può avere tanti significati: riconoscimento, simpatia o anche rabbia, tristezza, tutte sfumature la cui espressione e comprensione supportano una migliore cooperazione tra persone.
Un modello digitale di un cranio moderno accanto a quello di Kabwe 1. Credits: Paul O’Higgins, University of York
Prima di arrivare a questa conclusione, gli scienziati hanno ricercato le possibili cause della presenza di arcate sopraccigliari così importanti in specie arcaiche di Homo: capire quale fosse la loro funzione era necessario per arrivare a comprendere il perché della scomparsa di questa caratteristica morfologica. Le ipotesi prese in considerazione sono state due: la protuberanza ossea era necessaria per riempire lo spazio in cui il cervello degli ominidi era riposto e in cui le orbite si incontravano oppure per stabilizzare il cranio durante la masticazione. Per testare le due teorie, gli studiosi hanno adoperato un software 3D per ricostruire e manipolare virtualmente il cranio di Kabwe 1, un Homo heidelbergensis vissuto in un periodo compreso tra i 300.000 e i 125.000 anni fa, i cui resti sono conservati nel Natural History Museum di Londra.
La forma dell’arcata sopraccigliare ha rivelato non essere legata strettamente a esigenze spaziali o meccaniche. È stata esclusa, inoltre, anche la possibilità che servisse a tenere lontani dagli occhi sudore e capelli. Scartando queste cause, si è dedotto che il ruolo della regione sopraorbitale del cranio possa essere stato un fattore potenzialmente rilevante nella comunicazione sociale. Quindi, nell’evoluzione umana, lo sguardo ha significato molto di più di quanto immaginassimo.
