Le nuvole, la pioggia. Le releghiamo a fenomeni atmosferici, alla meteorologia, ma vi siete mai chiesti se in quelle minuscole gocce d’acqua abitassero dei microrganismi? Hanno risposto a questa domanda i ricercatori della Université Clermont Auvergne (Francia), cercando anche di capire di quali specie si trattasse e il loro impatto sulla formazione delle nuvole. I risultati sono stati pubblicati su Scientific Reports.
Le nuvole, la pioggia. Le releghiamo a fenomeni atmosferici, alla meteorologia, ma vi siete mai chiesti se in quelle minuscole gocce d’acqua abitassero dei microrganismi? Hanno risposto a questa domanda i ricercatori della Université Clermont Auvergne (Francia), cercando anche di capire di quali specie si trattasse e il loro impatto sulla formazione delle nuvole. I risultati sono stati pubblicati su Scientific Reports.
Le avventure di un microrganismo disperso in atmosfera
Il mondo dei microrganismi riesce a guadagnarsi gli onori della cronaca quando associato alla presenza di patogeni nell’uomo, quindi alle malattie, ma difficilmente fa notizia in altri contesti. Eppure batteri, funghi e virus sono ubiquitari e ciò che li riguarda ci dovrebbe incuriosire: infatti sembrano influenzare fenomeni a cui difficilmente li avremmo collegati. Un esempio è la loro esistenza nell’atmosfera: in generale la maggior parte dei microrganismi trasportati dall’aria provengono da ambienti naturali come suolo e piante, con grandi variazioni in termini spaziali e temporali, differenze che coinvolgono biomassa e biodiversità. Come fanno questi microrganismi a essere trasportati nell’atmosfera? Basta che siano strappati via da una superficie e nebulizzati da una perturbazione meccanica quale può essere il vento, l’impatto di una goccia o l’agitazione dell’acqua (ad esempio l’aerosol che si forma in corsi di acqua come rapide e cascate) ed ecco che le cellule microbiche vengono trasportate da flussi turbolenti. Rimangono in aria per circa 3 giorni, un tempo abbastanza lungo per attraversare continenti e oceani e, infine, ritornare a terra grazie alle precipitazioni: loro stessi possono innescare il processo che dà vita alla pioggia o alla neve fungendo da nuclei di condensazione.
Cosa fanno i microrganismi nascosti tra le nuvole?
Questo lungo viaggio permette ai piccolo organismi viventi di colonizzare nuovi habitat. È vero, alcuni lungo il tragitto non sopravvivranno ma una frazione rimarrà in vita. In quei tre giorni in aria, ad altitudini elevate, si formeranno dei veri e propri habitat temporanei con acqua e cibo per queste cellule viventi. Come si vive in una goccia d’acqua? Come funzioni vitali e prodotti del metabolismo possono influenzare le reazioni chimiche che avvengono in questi ambienti complessi e dinamici? Le funzioni metaboliche delle cellule microbiche all’interno delle nuvole sono state fino a oggi poco conosciute ma comprendere le condizioni di vita sulle lunghe distanze di trasporto in aria e l’impatto geochimico e ecologico di questi microrganismi è un tema rilevante, soprattutto alla luce dei complessi legami che investono atmosfera, biosfera e litosfera.
Una lente d’ingrandimento sulla vita in una nuvola
Attraverso lo studio di comunità microbiche direttamente nel loro ambiente naturale, usando il sequenziamento del loro genoma, gli scienziati hanno analizzato le funzioni fisiologiche e metaboliche delle cellule viventi presenti in atmosfera e la loro possibile interazione con l’ambiente chimico dell’acqua delle nuvole. Hanno, inoltre, esaminato i limiti di tali ambienti per i microrganismi. I campioni in questione sono stati raccolti dalla stazione atmosferica di Puy de Dome, in Francia, a 1465 metri sul livello del mare. Le gocce d’acqua di una nuvola non sono un ambiente facile da colonizzare: devono reagire al poco ossigeno, a temperature basse e a pochi sali disciolti. Questo porta alla produzione di differenti composti chimici, ad esempio ossidanti che effettivamente sono tra i principali fattori chiave nella chimica dell’atmosfera.
Per quanto riguarda l’evoluzione microbica, la dispersione in atmosfera esercita una specie di pressione selettiva che permette ai “più adatti” di diffondersi nel pianeta anche attraverso questa particolare via.
Se questo primo stadio della ricerca poneva l’attenzione sulla presenza in generale di procarioti, nella presentazione del meeting di San Francisco dell’American Society for Microbiology di Kevin Dillon, scienziato delle Rutgers University (Stati Uniti) che ha collaborato con il gruppo francese della pubblicazione su Scientific Reports, sono descritte specie di cianobatteri e alghe, quindi microrganismi fotosintetizzanti (oltre a diatomee e dinoflagellati). Una giungla microscopica che potrebbe portarci a rivedere anche parte del ciclo del carbonio.
Rimaniamo nel mondo dell’infinitamente piccolo con Carlotta De Filippo e il suo articolo “Microrganismi, cibo e ambiente”, pubblicato nel numero di giugno 2016 di Sapere.
Credits immagine: foto di Roman Grac da Pixabay