L’intelligenza artificiale è la protagonista di numerose ricerche in altrettanto numerosi ambiti della scienza: dalle scienze dei materiali alla fisica, passando anche per le discipline umanistiche. Sono in grado di macinare enormi quantità di dati e questo le rende attualmente degli strumenti insostituibili. Recentemente sono stati progettati nuovi modi per analizzare dati con le AI e questi traguardi sembrano suggerirci una domanda molto insidiosa. In un futuro lontano le macchine sostituiranno gli scienziati? Un articolo pubblicato su Quanta magazine riflette sulla questione.
L’intelligenza artificiale è la protagonista di numerose ricerche in altrettanto numerosi ambiti della scienza: dalle scienze dei materiali alla fisica, anche passando per le discipline umanistiche. Sono in grado di macinare enormi quantità di dati e questo le rende attualmente degli strumenti insostituibili. Recentemente sono stati progettati nuovi modi per analizzare dati con le AI e questi traguardi sembrano suggerirci una domanda molto insidiosa. In un futuro lontano le macchine sostituiranno gli scienziati? Un articolo pubblicato su Quanta magazine riflette sulla questione.
La vecchia scuola
L’osservazione è sempre stata alla base del metodo scientifico. L’esempio fornito dall’articolo è quello dell’astronomo Johannes Kepler che studiava le tavole delle posizioni dei pianeti redatte da Tycho Brahe, cercando di farne emergere gli schemi sottostanti. La scienza, però, è anche simulazione, basti pensare agli esperimenti e alla programmazione di modelli che possano descrivere un determinato fenomeno. Osservazione e simulazione hanno aiutato gli scienziati a ideare ipotesi che potessero essere, in seguito, testate con ulteriori rilevazioni. I modelli sono anche divenuti il pane quotidiano delle intelligenze artificiali ma ora sembra aver preso piede un nuovo e differente approccio: quello dei modelli generativi.
I modelli generativi
Forse avrete sentito parlare in rete di una serie di fotografie di volti umani generati da una intelligenza artificiale, assolutamente indistinguibili da quelli reali. Le immagini sono state il frutto di sistemi di modelli generativi chiamati GAN-Generative Adversial Network, algoritmi in grado di riparare immagini danneggiate o con pixel mancanti o di rendere nitide fotografie sfuocate, dopo un adeguato training effettuato sempre elaborando un gran numero di dati. Queste macchine imparano a generare le informazioni mancanti grazie una sorta di competizione tra parti del network: la prima, chiamata generatore, produce dei dati “falsi” e la seconda, il discriminatore, cerca di distinguere le informazioni reali da quelle false. Allenandosi, il sistema diventa sempre più bravo, come avrete potuto vedere dall’esempio di cui vi abbiamo accennato sopra.
In generale, i modelli generativi partono da set di dati e suddividono ciascuno in un nuovo set di “mattoncini” di base, quello che gli scienziati definiscono uno spazio latente di dati. L’algoritmo, quindi, manipola gli elementi di questo spazio latente per vedere come questo simuli i dati originali e ciò è di supporto nella scoperta del processo fisico che sottende il sistema. L’analogia presentata nell’articolo di Quanta magazine per comprendere questo procedimento è quella con noi esseri umani quando cerchiamo di discernere un volto femminile da uno maschile: guardiamo i capelli, la forma del naso e anche altre caratteristiche difficilmente descrivibili a parole. Nello stesso modo il programma cerca le caratteristiche principali tra i dati dopo essere stato allenato con immagini etichettate come “uomo” e “donna” e con altre indicazioni che gli permettano di dedurre velocemente una connessione.
Un esempio in astronomia
Troviamo in astronomia un esempio di applicazione di modelli generativi. Kevin Schawinski, astrofisico, e i suoi colleghi del Politecnico Federale di Zurigo (ETH Zurich) hanno adoperato questo nuovo metodo per studiare i cambiamenti fisici a cui vanno incontro le galassie durante la loro evoluzione. I risultati sono stati pubblicati nella rivista Astronomy & Astrophysics. Il loro modello ha creato un set di dati artificiale per testare ipotesi sui fenomeni fisici potenzialmente in atto. Inizialmente, con questa metodologia, gli scienziati sono riusciti a capire che le galassie, passando da un ambiente a bassa a uno ad alta densità, diventano di colore più rosso e le loro stelle sono meno concentrate nella parte centrale. Ciò corrisponde a quanto già osservato in precedenza. Ma perché è così? Il passo successivo è stato chiedere alla macchina quale fenomeno fisico potesse spiegare tale condizione e, per farlo, l’algoritmo ha dovuto testare due ipotesi fornite dai ricercatori: la presenza di una maggiore quantità di polveri o un declino della formazione delle stelle (ossia la presenza di stelle più vecchie). Gli elementi dello spazio latente sono stati sfruttati e hanno fornito la risposta cercata: le galassie più rosse sono quelle in cui la formazione di stelle è diminuita. A proposito dei risultati ottenuti, Schawinski ha affermato: “Non è una scienza completamente automatizzata ma ciò dimostra che siamo in grado almeno in parte di costruire gli strumenti per rendere il processo scientifico automatizzato”. Stiamo veramente viaggiando verso una scienza senza scienziati?
L’intelligenza artificiale sostituirà gli scienziati?
Il dibattito sulla potenza di uno strumento come i modelli generativi e la possibilità che un giorno sostituiscano gli esseri umani è acceso. Secondo alcuni scienziati l’intelligenza artificiale prenderà il posto di ricercatori e studenti solo in compiti per operatori non specializzati, che richiedono molto tempo e sono particolarmente noiosi, lasciando così agli esseri umani la parte più stimolante. Sebbene esistano esempi di robot che hanno mostrato di poter essere protagonisti di scoperte, è necessario chiedersi quanto un algoritmo possa ricavare dai soli dati senza una minima “spinta” interpretativa umana. La chiave sembra essere la creatività, qualità che non sappiamo ancora implementare in una macchina. Kai Polsterer, fisica a capo del gruppo di astroinformatica dell’Heidelberg Institute for Theoretical Studies e autrice di un lavoro che ha applicato algoritmi di machine learning sempre a dati astronomici, ha commentato: “Arrivare a una teoria con un ragionamento penso richieda creatività. Ogni volta che hai bisogno di creatività, necessiti di un essere umano. E da dove viene la creatività? Per essere creativi non deve piacerti essere annoiato. E non penso che un computer possa mai sentirsi annoiato”. Almeno per ora.
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