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28 Giu 2018

Combattere le malattie imparando il linguaggio delle cellule

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Una nuova tecnologia lab-on-a-chip, capace di rivelare in che modo le cellule umane comunicano, potrebbe portare a nuove terapie per curare il cancro e malattie autoimmuni. È questo il lavoro svolto da un gruppo di ricercatori provenienti dal Royal Melbourne Institute of Technology (RMIT University, Australia), dall’École polytechnique fédérale de Lausanne (EPFL) e dal Ludwig Institute for Cancer Research, sempre a Losanna (Svizzera). I risultati ottenuti sono stati pubblicati in un articolo sulla rivista scientifica Small.

Una nuova tecnologia lab-on-a-chip, capace di rivelare in che modo le cellule umane comunicano, potrebbe portare a nuove terapie per curare il cancro e malattie autoimmuni. È questo il lavoro svolto da un gruppo di ricercatori provenienti dal Royal Melbourne Institute of Technology (RMIT University, Australia), dall’École polytechnique fédérale de Lausanne (EPFL) e dal Ludwig Institute for Cancer Research, sempre a Losanna (Svizzera). I risultati ottenuti sono stati pubblicati in un articolo sulla rivista scientifica Small.

 

La comunicazione cellulare

 

Le cellule umane comunicano che c’è qualcosa che non va attraverso dinamiche complesse, producendo diverse sostanze chimiche che segnalano ad altre cellule come dovranno agire. Ad esempio, quando c’è un’infezione in atto, i globuli bianchi entrano in azione e rilasciano speciali proteine per combattere ed eliminare gli intrusi. Per sviluppare nuove terapie per patologie gravi è necessario capire come le singole cellule interagiscano e comunichino. Ciò è fondamentale per un migliore controllo del sistema immunitario e per “targhettizzare” con maggiore precisione le cellule malfunzionanti. Nel caso della ricerca pubblicata su Small, è stata esaminata la secrezione di citochina da parte delle singole cellule di un linfoma.
Le citochine sono proteine di piccole dimensioni, prodotte da un gran numero di cellule, che si legano a specifici recettori presenti sulla membrana e comunicano ad altre cellule un’istruzione specifica come lo stimolo a crescere, a differenziarsi o anche l’ordine di morire. Sono conosciute perché rivestono un ruolo importante nelle risposte a infezioni, malattie autoimmuni, infiammazioni, sepsi e tumori.

 

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Cos’è la tecnologia lab-on-a-chip?

 

Per studiare la produzione di citochina nelle cellule di un linfoma, gli studiosi hanno adoperato una tecnologia lab-on-a-chip. Di cosa si tratta? Il termine indica dispositivi in grado di integrare un certo numero di funzionalità, da svolgere in laboratorio, in un singolo chip. Quest’ultimo ha dimensioni comprese tra pochi millimetri e qualche centimetro quadrato e può trattare volumi di fluidi estremamente piccoli. Nella ricerca in questione è stato costruito un biosensore in miniatura che ha permesso di isolare le singole cellule, analizzarle in tempo reale e osservarne i segnali senza disturbarne l’ambiente circostante.
Il biosensore consiste in un vetrino sottile rivestito con un film in oro con miliardi di piccoli fori (nell’ordine di grandezza dei nanometri, un milionesimo di millimetro) organizzati in una disposizione specifica. Attraverso i “nanofori” è trasmessa una luce di un solo colore e, osservando questa radiazione, i ricercatori sono in grado di determinare la presenza di piccole quantità di specifici composti chimici prodotti dalle cellule in quel momento. Il sensore nanofotonico appena descritto è accoppiato a un circuito integrato microfluidico, un sistema che processa e manipola minime quantità di liquidi (picolitri, un milionesimo di milionesimo di litro, o meno) utilizzando canali di dimensioni di decine o centinaia di micrometri. Il circuito include delle valvole per isolare la cellula e concentrare le sue secrezioni e un sistema per regolare la temperatura e l’umidità per mantenere le giuste condizioni ambientali.

 

I risultati e il futuro delle terapie

 

Grazie a questo studio è stato scoperto che le cellule dei linfomi producono citochina in modalità differenti, uniche per ciascuna cellula, permettendo ai ricercatori di identificare una vera e propria “secrezione-impronta digitale” per ognuna. Arnan Mitchell, direttore della RMIT’s MicroNano Research Facility e autore dell’articolo, ha commentato: “Se possiamo ricostruire un quadro chiaro di questo comportamento, ciò potrebbe aiutarci a distinguere le cellule buone da quelle cattive e ci permetterebbe, un giorno, di sviluppare trattamenti specifici per le cellule cattive”. Effettivamente questo nuovo biosensore si è mostrato un possibile e potente strumento per caratterizzare i segnali delle singole cellule per la ricerca di base e per quella clinica.

 

Se per alcune patologie si sta cercando di progettare terapie efficaci, per altre malattie la soluzione c’è e sono i vaccini. Potete approfondire questo argomento acquistando e leggendo “Il vaccino: l’arma vincente per prevenire le malattie infettive” di Barbara Mognetti, pubblicato nel numero di ottobre 2017 di Sapere.

REDAZIONE
La Redazione del sito saperescienza.it è curata da Micaela Ranieri dal 2019, in precedenza hanno collaborato Stefano Pisani e Alessia Colaianni.
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