Skip to main content

08 Mag 2014

Ecco il primo organismo con Dna “espanso”

Home News Medicina & Salute

Sulla copertina della rivista Nature di questa settimana, uno studio eccezionale: lo sviluppo del primo organismo semi-sintetico in cui sono state inserite basi artificiali nel Dna che ha mostrato di ‘vivere’ in modo stabile. 

Sulla copertina della rivista Nature di questa settimana, uno studio eccezionale: lo sviluppo del primo organismo semi-sintetico con basi artificiali nel proprio Dna, che ha mostrato di ‘vivere’ e replicarsi in modo stabile. L’alfabeto genetico del Dna è costituito da coppie di basi (come A-T e C-G), che sono come i mattoni di tutte le forme di vita esistenti. Allargare questo alfabeto, aggiungendo coppie di basi artificiali potrebbe portare gli organismi viventi a diventare adatti a un grande numero di applicazioni pratiche. 

 

Finora, gli scienziati coinvolti nel nuovo studio, ossia Floyd Romesberg e colleghi, erano riusciti a ottenere una coppia di basi artificiali (d5SICSTP e dNaMTP) che si presentava anche dopo il processo di replicazione del Dna, ma il tutto avveniva in un sistema privo di cellule purificate. Questo fenomeno non era stato ancora osservato in una cellula vera, soprattutto a causa di difficoltà tecniche notevoli, come quelle legate alla produzione di basi azotate artificiali. Nella nuova ricerca, gli scienziati hanno provato la coppia artificiale può essere trasportata con successo in una cellula di Escherichia coli, grazie a un opportuno trasportatore di basi azotate. La coppia artificiale viene così incorporata in un plasmide replicante. Il Dna del plasmide è risultato replicarsi senza incidere in maniera significativa sulla crescita delle cellule, e le coppie di basi artificiali non sono state riconosciute come anomale nel processo di riparazione del Dna. L’organismo ha dunque potuto propagarsi in modo stabile con il suo alfabeto genetico ‘arricchito’.

 

“Gli scienziati hanno inserito basi artificiali di Dna di tipo naturale (il plasmide è un elemento biologico esistente) nelle cellule batteriche. La novità consiste nel fatto che il plasmide non viene riconosciuto come estraneo e quindi non viene attaccato. La ricerca potrebbe essere molto utile perché basi simili a queste potrebbero essere introdotte per modificare organismi biologici esistenti, andando per esempio a ridurre la resistenza agli antibiotici dei batteri, rendendoli quindi più vulnerabili. Oppure, si potrebbero sintetizzare proteine composte da amminoacidi diversi dai venti naturalmente disponibili” ha commentato Giuseppe Novelli, genetista dell’Università di Roma Tor Vergata.

REDAZIONE
La Redazione del sito saperescienza.it è curata da Micaela Ranieri dal 2019, in precedenza hanno collaborato Stefano Pisani e Alessia Colaianni.
DELLO STESSO AUTORE

© 2024 Edizioni Dedalo. Tutti i diritti riservati. P.IVA 02507120729