Sono numerose le ricerche che collegano il cervello e l’intestino e, ancora una volta, ci sarebbe qualcosa che accomuna i due organi. Sappiamo tutti dell’esistenza della flora batterica nel nostro intestino, microrganismi che vivono nel nostro corpo senza danneggiarlo. Anzi, sono coinvolti in differenti aspetti del benessere, influenzando le difese immunitarie e il corretto funzionamento dell’apparato digerente. Uno studio presentato in un poster per il meeting annuale della Society for Neuroscience, negli Stati Uniti, sembra fornire i primi indizi della presenza di un microbioma anche nel nostro cervello.
Sono numerose le ricerche che collegano il cervello e l’intestino e, ancora una volta, ci sarebbe qualcosa che accomuna i due organi. Sappiamo tutti dell’esistenza della flora batterica nel nostro intestino, microrganismi che vivono nel nostro corpo senza danneggiarlo. Anzi, sono coinvolti in differenti aspetti del benessere, influenzando le difese immunitarie e il corretto funzionamento dell’apparato digerente. Uno studio presentato in un poster per il meeting annuale della Society for Neuroscience, negli Stati Uniti, sembra fornire i primi indizi della presenza di un microbioma anche nel nostro cervello.
Un microbioma nel nostro cervello: un’ipotesi audace
Come spiegato nell’articolo dedicato a questa ricerca, pubblicato sul sito di Science, il cervello è un ambiente protetto, parzialmente separato dal contenuto del sistema circolatorio da una rete di cellule che circondano i vasi sanguigni. Batteri e virus che riescono a penetrare questa barriera possono causare infiammazioni anche letali. Nel corso degli anni e degli studi effettuati in questo ambito, alcuni ricercatori hanno ipotizzato che i microrganismi che vivono nell’intestino potrebbero essere legati al funzionamento del cervello, condizionando umore e comportamento o modificando il rischio di patologie neurologiche.
Il poster del gruppo di ricerca, afferente al Department of Psychiatry and Behavioral Neurobiology della University of Alabama, a Birmingham (Stati Uniti), mostra immagini ad alta risoluzione acquisite con un microscopio a scansione elettronica in cui si scorgono batteri che, apparentemente, sono penetrati e abitano nelle cellule di cervelli umani sani. Questo è un lavoro preliminare e gli autori sono stati molto prudenti nel presentarlo poiché i campioni di tessuto analizzati, prelevati da cadaveri, potrebbero essere stati contaminati. Pensare che i batteri possano influenzare direttamente i processi che interessano il cervello, tra cui il decorso di una malattia neurologica, è emozionante per gli esperti ma saranno necessarie ulteriori conferme affinché questi indizi conquistino una valenza scientifica maggiore.
I test effettuati
L’inizio di questa ricerca corrisponde ancora una volta a un caso di serendipity: nel laboratorio di Rosalinda Roberts, specializzata in neuroanatomia e autrice del lavoro, si stavano esaminando le differenze tra persone sane e pazienti affetti da schizofrenia, attraverso l’osservazione di campioni di tessuto di cervelli conservati nelle ore successive alla morte degli individui. A distanza di 5 anni, la neuroscienziata Courtney Walker, coautrice del poster presentato al meeting della Society for Neuroscience, fu colpita dagli oggetti a forma di bastoncello, non identificati, mostrati nelle dettagliate immagini di quei campioni, sezioni sottili le cui caratteristiche erano state immortalate da un microscopio a scansione elettronica. Grazie all’aiuto di un batteriologo, l’arcano è stato dunque svelato: quei cilindretti erano batteri. Sono stati 34 i cervelli analizzati – metà appartenenti a persone sane, metà a schizofrenici – in cui sono stati ritrovati questi microrganismi. Di quale tipologia di batteri stiamo parlando? Il sequenziamento dell’RNA ha rivelato che la maggior parte proveniva dai tre phyla più comuni del microbioma intestinale ossia Firmicutes, Proteobacteria e Bacteroidetes. Come è possibile si trovassero nel cervello? In principio Rosalinda Roberts ha riflettuto sulla possibilità che i batteri intestinali fossero fuoriusciti dai vasi sanguigni nel cervello nelle ore comprese tra la morte dell’individuo e la rimozione dell’organo. Per fugare il dubbio ha esaminato i cervelli di alcuni topi prelevati immediatamente dopo il decesso: i batteri c’erano. Quindi lo stesso test è stato effettuato su roditori cresciuti affinché non vi fosse al loro interno alcun tipo di comunità microbica e, in questo caso, i campioni si sono mostrati uniformemente puliti.
Possibili spiegazioni e scenari futuri
Quale può essere stato il percorso del microbioma dall’intestino al cervello? Forse i batteri hanno viaggiato attraverso i vasi sanguigni, risalendo i nervi a partire dall’intestino, o addirittura sono entrati dal naso. Non si sa ancora nulla di preciso, però si può affermare che non erano stati causa di infiammazioni e che non possono essere ancora quantificati per un confronto della loro presenza nei malati di schizofrenia. Inoltre, hanno mostrato di preferire alcune parti del cervello: i microrganismi sono stati ritrovati negli astrociti, cellule a forma di stella che interagiscono e supportano i neuroni, e la loro concentrazione era abbondante anche nella mielina, una sostanza con un alto contenuto di lipidi che riveste come una guaina le fibre nervose per proteggerle e isolarle.
Le incertezze e le lacune riguardanti questa scoperta sono ancora molte. L’ombra della contaminazione si proietta pesantemente su questi primi risultati. Roberts ha comunque sottolineato che, anche se i batteri non prosperassero realmente in cervelli viventi, la loro invasione post mortem sarebbe comunque un fenomeno interessante da approfondire.
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