“Siamo entrati in un’era di grande ottimismo”. John Hardy, esperto di Alzheimer dello University College London, apre alla speranza nella lotta contro questa malattia della senilità.
“Siamo entrati in un’era di grande ottimismo”. John Hardy, esperto di Alzheimer dello University College London, apre alla speranza nella lotta contro questa malattia della senilità. “Credo che individueremo un obiettivo per le terapie entro il 2025” ha detto infatti lo studioso, parlando a margine di un seminario presso la Royal Society. Entro un decennio, quindi, farmaci contro l’Alzheimer potrebbero essere disponibili e prescritti, così come si fa con le statine, per prevenire i sintomi della patologia. “Sono fiducioso che circa entro il prossimo decennio troveremo un modo più efficace per prevenire o rallentare il progresso della demenza. Entro il 2050 saranno milioni, in tutto il mondo, i pazienti che trarranno benefici da questo nuovo corso” ha aggiunto Hardy.
Segnali positivi, d’altronde, stanno già arrivando. Dagli anni Ottanta, i tassi di demenza sono calati di circa il 20 per cento grazie a cambiamenti nello stile di vita e un recente studio della Cambridge University ha suggerito che il colesterolo potrebbe essere responsabile della demenza vascolare e un controllo dell’alimentazione potrebbe portare alla prevenzione di circa il 30 per cento dei casi. “Stiamo compiendo grandi passi avanti nella comprensione di cosa va storto nel cervello quando l’Alzheimer si sviluppa e su cosa dobbiamo fare per fermarlo” ha commentato Doug Brown, direttore della Ricerca e Sviluppo della Alzheimer’s Society.
La scorsa estate, il gigante farmaceutico Eli Lilly ha annunciato che alcuni trial preliminari hanno mostrato l’efficacia del solanezumab nel prevenire il declino mentale dell’Alzheimer di circa un terzo. Ed è stato il primo farmaco a mostrarsi efficace nei confronti dei processi che sottendono la malattia piuttosto che andare a trattare i sintomi, attaccando le placche amiloidi che ostacolano la comunicazione tra neuroni. Il clima, insomma, è tra i più ottimisti, come provano anche le parole di Gill Morgan, a capo dei fornitori del National Health Service: “La nostra conoscenza della demenza, rispetto per esempio a quella del cancro, ha un vantaggio di circa 20 anni”.