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18 Lug 2018

Vaiolo, c’è un farmaco per curarlo

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Ha senso mettere a punto una terapia per una malattia che non esiste? Se si tratta di vaiolo, la risposta è sì. Il 13 luglio scorso, la Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia governativa statunitense che, tra l’altro, si occupa di regolamentare e controllare l’immissione sul mercato dei farmaci, ha autorizzato l’uso del tecovirimat, una sostanza indicata nel trattamento della patologia.

Ha senso mettere a punto una terapia per una malattia che non esiste? Se si tratta di vaiolo, la risposta è sì. Il 13 luglio scorso, la Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia governativa statunitense che, tra l’altro, si occupa di regolamentare e controllare l’immissione sul mercato dei farmaci, ha autorizzato l’uso del tecovirimat, una sostanza indicata nel trattamento della patologia.

 

Il vaiolo scompare, il virus no

 

La malattia, però, è stata dichiarata eradicata nel 1980 dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS). Perché, allora, una terapia? Il virus del vaiolo non circola più in maniera naturale ma è tutt’oggi conservato in alcuni laboratori, più o meno segreti e più o meno protetti, facenti capo alle più importanti potenze mondiali, quali Stati Uniti e Russia. Esso, quindi, esiste ancora ed è annoverato tra le potenziali armi biologiche. Inoltre, nell’agosto 2017, è stato autorizzato l’uso del virus vivo a scopo di ricerca, manipolato in condizioni di altissima sicurezza.
La presenza stessa del vaiolo pone un grande problema: in caso di un’epidemia, accidentale o intenzionale, saremmo completamente inermi. Questa patologia, infatti, è stata debellata solo grazie alla campagna mondiale di vaccinazione condotta e promossa dall’OMS dal 1966, che fu poi sospesa dopo l’annuncio dell’eradicazione. Pertanto, se il vaiolo dovesse ricomparire, la gran parte della popolazione sarebbe a rischio perché non immune e priva di una cura efficace.

 

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Una malattia letale e contagiosa
 

La produzione del tecovirimat, quindi, diventa uno strumento importante: non per fronteggiare un rischio concreto ma come àncora di salvezza nell’ipotesi di un rilascio del virus nell’ambiente. Del resto col vaiolo c’è ben poco da scherzare. La malattia si trasmetteva attraverso il contatto diretto tra esseri umani. I primi sintomi, che insorgevano dopo una o due settimane dal contatto, consistevano in febbre, spossatezza, mal di testa e mal di schiena ed erano seguiti dalla comparsa di eruzioni cutanee – dapprima piccole e rosee – che poi evolvevano in pustole purulente. Spesso seguivano complicazioni quali encefaliti e ulcerazioni della cornea, che potevano portare rispettivamente, a morte o a cecità. A renderlo così pericoloso era la grandissima contagiosità: il 90% delle persone che venivano a contatto con un ammalato si infettava e il 30% di chi si ammalava moriva. Si stima che nel solo XX secolo il vaiolo abbia mietuto centinaia di milioni di vittime ed abbia tolto la vista o causato disabilità a tanti altri pazienti.

 

Il farmaco

 

Con decenni (o secoli) di ritardo, la scienza ha finalmente trovato un farmaco efficace. Il tecovirimat blocca una proteina del virus, chiamata p37, che è necessaria per la fuoriuscita del microrganismo dalle cellule infette e, quindi, essenziale per la sua virulenza. Questa proteina è presente non solo nel virus del vaiolo ma anche in tutti quelli appartenenti allo stesso genere, detto degli Ortopoxvirus. Appartengono a questo gruppo anche i virus del vaiolo dei bovini, del coniglio e delle scimmie. Proprio questi ultimi sono stati fondamentali per la sperimentazione del farmaco, in particolare per i test di efficacia. Poiché il patogeno non è in grado di infettare gli animali, e non è ovviamente possibile infettare l’uomo, l’azione del farmaco è stata saggiata in vivo proprio contro i virus del vaiolo del coniglio e delle scimmie. Inoltre il tecovirimat è stato somministrato a volontari per verificare eventuali effetti collaterali e, quindi, garantirne la sicurezza.
Dopo aver superato positivamente tutti i test, il medicinale è stato finalmente approvato e ne è stata autorizzata la produzione. Per evitare speculazioni, è stato classificato come “farmaco orfano”, destinato cioè a malattie molto rare o che si verificano occasionalmente e, quindi, ha ricevuto dei finanziamenti specifici in modo da avere la possibilità di costituire una scorta. Con la speranza di non utilizzarla mai.

REDAZIONE
La Redazione del sito saperescienza.it è curata da Micaela Ranieri dal 2019, in precedenza hanno collaborato Stefano Pisani e Alessia Colaianni.
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