Durante il meeting dell’NHI – National Institutes of Health, tenutosi il 28 marzo 2018 per discutere le implicazioni etiche della ricerca nelle neuroscienze, è stato descritto un esperimento molto particolare: gli scienziati dell’Università di Yale hanno ripristinato la circolazione nei cervelli di maiali decapitati e mantenuto in vita gli organi così rianimati per 36 ore. Un risultato che apre le porte su più approfondite conoscenze scientifiche ma anche su un mondo inesplorato che richiederebbe maggiori regole e controlli.
Durante il meeting dell’NHI – National Institutes of Health, tenutosi il 28 marzo 2018 per discutere le implicazioni etiche della ricerca nelle neuroscienze, è stato descritto un esperimento molto particolare: gli scienziati dell’Università di Yale hanno ripristinato la circolazione nei cervelli di maiali decapitati e mantenuto in vita gli organi così rianimati per 36 ore. Un risultato che apre le porte su più approfondite conoscenze scientifiche ma anche su un mondo inesplorato che richiederebbe maggiori regole e controlli.
L’esperimento
L’articolo pubblicato dal MIT Technology Review descrive l’esperimento progettato dal neuroscienziato Nenad Sestan e dal suo team. Sono stati raccolti da un mattatoio più di un centinaio di cervelli di maiale e la loro circolazione è stata ripristinata grazie a un sistema di pompe, riscaldatori e sacche di sangue artificiale a temperatura ambiente. La tecnologia sviluppata dall’Università di Yale, chiamata BrainEx, permette di connettere un cervello a un circuito di tubi e serbatoi da cui ha origine la perfusione di un liquido rosso che porta ossigeno al tronco encefalico, l’arteria cerebellare, e ad altre aree che si trovano al centro del cervello, in profondità. Questa ricerca è iniziata circa quattro anni fa per poter costruire un atlante completo delle connessioni tra le cellule cerebrali dell’uomo: alcune di queste connessioni possono essere tracciate con più facilità in un organo intatto. A quale uso medico è destinato BrainEx? Sestan ha risposto che un cervello umano integro, fuori dal corpo, potrebbe essere adoperato per testare cure per il cancro o per esaminare trattamenti per l’Alzheimer troppo pericolosi da provare su pazienti in vita. A questo punto, però, è naturale chiedersi quale sia il confine biologico tra vita e morte in questa determinata condizione.
Il confine tra la vita e la morte
In un cervello “ex vivo” è possibile che la riattivazione della circolazione porti anche a un recupero della coscienza? Per rispondere a questo quesito, i ricercatori hanno controllato i segnali di attività utilizzando una versione dell’elettroencefalografia (EEG) in grado di misurare le onde elettriche che riflettono una estesa attività del cervello legata alla presenza di pensieri e sensazioni. Questa analisi ha mostrato un segnale piatto, evidenza di uno stato comatoso che, però, secondo Sestan, potrebbe anche essere dovuto alle sostanze chimiche iniettate nel sangue.
L’essere cosciente non è requisito necessario per questo tipo di esperimenti ma, nonostante i risultati dell’EEG, è importante non avere un approccio superficiale riguardo questo nuovo campo della scienza. Secondo Anna Devour, neuroscienziata della University of California, intervistata dal MIT Technology Review, la possibilità di lavorare su un cervello intatto e vivo è una grandissima opportunità per realizzare un atlante di questo organo ma, proprio perché il confine tra vita e morte – in questo caso – inizia a diventare una zona grigia, è assolutamente necessario trattare un cervello isolato con la stessa forma di rispetto che si riserva agli animali adoperati in laboratorio.
Bioetica: nuovi limiti da contemplare
Il lavoro di Sestan e del suo gruppo solleva questioni etiche e legali importanti, soprattutto se la tecnica dovesse essere applicata a un essere umano. Un cervello così rianimato potrebbe essere in qualche modo conscio, mantenere la memoria, l’identità o diritti legali? Un editoriale di Nature, che però non parla della ricerca di Yale, ha sottolineato come sia necessario, dato l’enorme progresso raggiunto dalle neuroscienze, redigere delle linee guida nell’utilizzo dei modelli del cervello umano oramai presenti in molti laboratori. Si tratta degli organoidi, ottenuti da cellule staminali pluripotenti, del tessuto cerebrale ex vivo rimosso da pazienti, e dalle chimere, animali in cui vengono trapiantate cellule umane nel cervello. Gli studi che prevedono queste procedure sono fondamentali per comprendere le alterazioni del neurosviluppo in persone affette da autismo o schizofrenia, esaminare le proprietà funzionali dei circuiti cerebrali o, ancora, per cercare terapie farmacologiche efficienti per patologie quali il morbo di Parkinson. Non si può rinunciare a tutto questo ma si deve al più presto arrivare a un quadro normativo che abbia solide basi bioetiche.
La discussione sui confini che la scienza dovrebbe rispettare prosegue nell’articolo “La scienza: con o senza limiti?” di Vincenzo Balzani che troverete nel numero di Sapere di agosto 2017.