Il grafene è uno dei protagonisti della rivoluzione tecnologica degli ultimi anni riguardante i materiali. Possiede proprietà che lo rendono incredibilmente utile nella realizzazione di computer più efficienti ma anche di strumenti adoperati in ambito medico. La strada verso la diffusione del grafene su larga scala è, però, tutt’altro che in discesa perché produrne grandi quantità è ancora molto costoso e richiede tempi lunghi. Ora gli scienziati dell’Università di Rochester e della Delft University of Technology sembrano aver trovato una via per rendere il processo più conveniente: hanno chiesto aiuto ai batteri.
Il grafene è uno dei protagonisti della rivoluzione tecnologica degli ultimi anni riguardante i materiali. Possiede proprietà che lo rendono incredibilmente utile nella realizzazione di computer più efficienti ma anche di strumenti adoperati in ambito medico. La strada verso la diffusione del grafene su larga scala è, però, tutt’altro che in discesa perché produrne grandi quantità è ancora molto costoso e richiede tempi lunghi. Ora gli scienziati dell’Università di Rochester e della Delft University of Technology sembrano aver trovato una via per rendere il processo più conveniente: hanno chiesto aiuto ai batteri.
Come si può produrre il grafene su scala industriale?
Come vi avevamo già raccontato in precedenti articoli, il grafene è un reticolo di esagoni che si estende in un monostrato bidimensionale di atomi di carbonio: una scaglia di carbonio sottile quanto un singolo strato di atomi, in grado di condurre facilmente elettricità, estremamente resistente e flessibile. Il materiale dei sogni, se non fosse per la difficoltà di produrlo su larga scala per utilizzarlo in applicazioni quotidiane.
Attualmente esistono due principali metodi di produzione del grafene che potrebbero essere impiegati per quantità industriali: la deposizione chimica da vapore (CVD) e l’esfoliazione della grafite, in particolare l’ossidazione ed esfoliazione della grafite in ossido di grafene, seguita dalla riduzione in grafene. Se nel primo caso ci sono svantaggi dal punto di vista delle condizioni di preparazione, nel secondo il problema consiste nei costi elevati e nei processi chimici aggressivi coinvolti che rendono questa opzione non sostenibile economicamente e ambientalmente. Ci sarebbe un altro modo, più “pulito”, per trasformare l’ossido di grafene in grafene: la riduzione operata da batteri.
Un metodo più sostenibile con il batterio Shewanella oneidensis
Il batterio Shewanella oneidensis è la chiave per ridurre l’ossido di grafene in maniera più sostenibile, economica e realizzabile su scala maggiore. Come descritto nell’articolo pubblicato su ChemistryOpen e nel comunicato stampa dell’Università di Rochester, per produrre grandi quantitativi di grafene, i ricercatori sono partiti da una provetta di grafite: quest’ultima viene ridotta in fogli per produrre ossido di grafite che quindi è mescolato con i batteri e altri precursori chimici, ossia molecole da cui derivano quelle desiderate. Dopo una notte di reazioni, i batteri riducono l’ossido di grafene in grafene. Questo meccanismo evita così agenti chimici aggressivi e può essere portato su scala industriale usando bioreattori.
Al di là dei nostri PC: possibili applicazioni del grafene prodotto da batteri
Il grafene prodotto grazie all’azione dei batteri è un efficiente conduttore ed è anche più sottile e stabile di quello preparato chimicamente. Inoltre può essere conservato per periodi più lunghi, rendendolo adatto a molte applicazioni tra cui – come indicato nel comunicato stampa già citato – biosensori FET (Field-Effect Transistor – Transistor a effetto di campo) e inchiostri conduttivi.
I biosensori FET sono dispositivi che rilevano molecole biologiche e possono essere adoperati in medicina, ad esempio per il monitoraggio in tempo reale del glucosio nei pazienti diabetici.
Gli inchiostri conduttivi, di cui il grafene può essere la base, sono utilizzati per disegnare circuiti su supporti estremamente sottili e flessibili, persino su carta o tessuto. Li potreste trovare nelle tastiere di computer, nei circuiti stampati o nei piccoli fili che hanno il compito di sbrinare il lunotto termico delle automobili.
Gli scienziati sono finalmente riusciti a compiere un ulteriore passo avanti affinché il grafene lasci i laboratori per aiutarci nella vita di tutti i giorni.
Dall’hardware passiamo al software, consigliandovi la lettura dell’articolo di Stefano Ottani, “Internet e protocolli TCP/IP”, pubblicato nel numero di Sapere di giugno 2019.
Credits immagine: foto di Michael Schwarzenberger da Pixabay