I Premi Nobel in Medicina, Fisica e Chimica 2014 spiegati e commentati dai nostri esperti.
La scorsa settimana, sono stati annunciati gli attesi Premi Nobel 2014. Il Nobel in Medicina e Fisiologia è stato assegnato dal Karolinska Institutet a John O’Keefe, dello University College London, e alla coppia formata da May-Britt e Edvard Moser, norvegesi della Norwegian University of Science and Technology (Nust) di Trondheim, per aver scoperto il sistema di cellule nervose del cervello che consente a quest’organo di avere consapevolezza costante delle coordinate spaziali del luogo in cui si trova l’individuo (formando dunque una sorta di ‘Gps biologico‘). “Il Nobel per la Medicina assegnato ai neuroscienziati O’Keefe, May-Britt e Edvard Moser premia i risultati di una serie di studi iniziati nel 1971 quando O’Keefe identificò nell’ippocampo le “cellule di posizione”, la cui attività era connessa con la posizione specifica occupata dall’animale nello spazio” spiega Carlo Caltagirone, direttore scientifico IRCCS Fondazione S. Lucia di Roma e Ordinario di Neurologia Università di Roma “Tor Vergata”. E aggiunge: “nel 2005, May-Britt e Edvard Moser scoprirono che l’attività coordinata dei neuroni della regione del cervello della corteccia entorinale, definiti “cellule griglia”, e delle cellule di posizione promuove la formazione di una sorta di Gps interno, una mappatura funzionale dell’ambiente, consentendo di definire costantemente la posizione e di orientare il movimento”. Si tratta di una scoperta che è stata sostenuta e confermata da ricerche successive e che fornisce un contribuito cruciale per la comprensione del modo in cui i neuroni cooperano “al fine di sostenere l’orientamento spaziale e può avere risvolti applicativi di rilievo per lo studio e l’intervento con persone con malattia di Alzheimer, in cui questi neuroni sono precocemente colpiti” conclude Caltagirone.
L’Accademia Reale Svedese delle Scienze ha premiato con il Nobel in Fisica tre giapponesi: Isamu Akasaki e Hiroshi Amano, dell’Università di Nagoya, e Shuji Nakamura, professore all’Università della California a Santa Barbara. Tra gli anni Ottanta e i Novanta, i tre hanno scoperto come far emettere luce blu a un Led.
La massima efficienza per la produzione di luce artificiale si raggiunge con i Led, ma per decenni è stato impossibile ottenere luce bianca perché non si riusciva a ottenere la luce blu, che andava combinata con quella verde e rossa ottenuta da Led già realizzati negli anni Cinquanta. “Nei dispositivi tradizionali, dalle lampadine a filamento ai tubi fluorescenti, l’emissione di luce è un effetto indiretto (del riscaldamento di un filo e della scarica elettrica). Nei Led, invece, la luce è l’effetto primario, grazie ad un apposito materiale “elettroluminescente” che emette direttamente luce quando attraversato da corrente” spiega Nicola Armaroli, dell’’Istituto per la Sintesi Organica e la Fotoreattività (ISOF) del Cnr e direttore di Sapere. “Led rossi e verdi erano disponibili già negli anni Sessanta, ma sono stati necessari trent’anni per mettere a punto materiali che emettessero fotoni blu, basati su nitruro di gallio (GaN), i cui cristalli di alta qualità sono stati prodotti dai tre premiati” aggiunge Armaroli.
Ma questi materiali sono oggi utilizzati non solo per generare luce bianca nelle lampade Led, ma anche per produrre i piccoli laser blu utilizzati nei lettori DVD “blue-ray”. Una lampadina Led consuma 5 volte meno di una lampada a filamento e il 10 per cento in meno di una lampada fluorescente cosiddetta “a risparmio energetico” e, a differenza di quest’ultima, non contiene mercurio. “I benefici in termini di risparmio energetico e tutela ambientale sono immensi. Questo Nobel premia una delle principali innovazioni scientifiche e tecnologiche degli ultimi cinquant’anni, che avrà un impatto sempre più rilevante per la vita di tutti, dato che l’illuminazione artificiale è una delle tecnologie più diffuse e più in espansione al mondo” conclude Armaroli.
Eric Betzig, dell’Howard Huges Medical Institute, Stefan Hell, del Max Planck Institute for Biophysical Chemistry di Goettingen, Germania, e William Moerner, della Stanford University, hanno condiviso il Premio Nobel in Chimica, per “per aver portato la microscopia ottica nella nanodimensione. E aver superato il presunto limite scientifico secondo cui si riteneva che un microscopio ottico non potesse mai avere una risoluzione superiore agli 0.2. micrometri”. In chimica, come in fisica, la ‘risoluzione spaziale‘ rappresenta la capacità di poter distinguere tra loro due oggetti, potendo dire dove si trova l’uno e dove l’altro. Se da un aereo di linea guardate dall’alto una piazza affollata e provate a distinguere ogni singola persona, probabilmente non riuscirete a farlo: non avete sufficiente risoluzione. Lo stesso problema si porrebbe se voleste individuare una certa proteina in mezzo a migliaia di altre. “Il poter localizzare e seguire il destino di specifiche molecole, soprattutto in sistemi complessi e affollati come le cellule, è fondamentale per capirne il funzionamento e quindi per comprenderne meglio i processi vitali” ha commentato Giovanni Romano dell’Università di Firenze. “Utilizzando il fenomeno della fluorescenza, Betzig, Moerner e Hell hanno spinto la risoluzione spaziale ottenibile con metodi ottici a livelli considerati impossibili fino a oggi, riuscendo a illuminare una sola molecola per volta grazie ad un’intuizione geniale. Da Nobel, per l’appunto” ha concluso Romano.