La Settimana Nazionale dell’Astronomia 2019 sta per essere inaugurata e proprio nelle ultime settimane sono stati pubblicati numerosi studi che ridisegnano le nostre conoscenze su Marte. Nuovi dati che continuano a narrarci la storia dell’evoluzione dei paesaggi color ruggine di questo pianeta ma anche qualche inconveniente incontrato nel cammino di questo ramo dell’esplorazione spaziale.
La Settimana Nazionale dell’Astronomia 2019 sta per essere inaugurata e proprio nelle ultime settimane sono stati pubblicati numerosi studi che ridisegnano le nostre conoscenze su Marte. Nuovi dati che continuano a narrarci la storia dell’evoluzione dei paesaggi color ruggine di questo pianeta ma anche qualche inconveniente incontrato nel cammino di questo ramo dell’esplorazione spaziale.
Confermata la presenza di metano
Si è sempre dibattuto sulla possibile presenza di metano su Marte, condizione legata alla sua abitabilità e indizio di vita extraterrestre. Purtroppo la rilevazione di questo idrocarburo non è mai stata confermata da misure indipendenti. Fino ad ora. Lo studio pubblicato su Nature Geoscience, realizzato da un gruppo di ricercatori provenienti dall’Istituto Nazionale di Astrofisica, dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e dall’Agenzia Spaziale Italiana, ha riportato la registrazione della presenza di metano nell’atmosfera marziana sopra il Cratere Gale a opera di due differenti strumenti. Il primo è stato lo spettrometro di Fourier a bordo della sonda Mars Express, il 16 giugno 2013, il secondo è stato il rover Curiosity. Inoltre, grazie a questi dati e con il supporto di un modello matematico dell’atmosfera del pianeta, è stato possibile risalire al luogo di provenienza del gas. Un primo passo verso la comprensione dell’origine – biotica o abiotica – di metano su Marte.
Nuove ipotesi sulla presenza di falde acquifere sul Pianeta rosso
L’anno scorso i ricercatori italiani dell’ASI-Agenzia Spaziale Italiana erano stati protagonisti di uno studio riguardante la presenza di acqua su Marte: pubblicata su Science, la ricerca mostrava le prove raccolte dal radar MARSIS (Mars Advanced Radar for Subsurface and Ionosphere Sounding) che testimoniavano l’esistenza di acqua allo stato liquido al di sotto della calotta polare meridionale. Ora gli scienziati dell’Arid Climate and Water Research Center della University of Southern California hanno aggiunto nuovi risultati che indicano l’attività di falde acquifere situate a circa 750 metri di profondità. Quest’ultime potrebbero aver dato origine a dei ruscelli superficiali nelle aree prossime all’equatore. Attraverso immagini ad alta risoluzione, modelli di flusso di calore e l’osservazione di analogie con fenomeni terrestri legati all’idrologia dei deserti (gli stessi tipi di meccanismi sono stati ritrovati nel Sahara nord africano e nella Penisola Arabica), gli studiosi hanno teorizzato che le “recurring slope lineae”, segni dello scorrimento di acqua sulla superficie, siano state prodotte dal rilascio naturale di acque salmastre interne alla criosfera del pianeta lungo strutture geologiche, ad esempio fratture date da eventi tettonici o impatti. In questo modo le acque delle falde acquifere risalirebbero e scorrerebbero in superficie, oggi, nelle attuali condizioni marziane.
Antichi fiumi e modelli climatici
Come succede per la Terra, i paesaggi di Marte sono indizi della sua storia, proprio come lo sono le rughe di un volto. Da ciò che è possibile osservare, sembra che tanto tempo fa sul Pianeta rosso ci fossero fiumi più vasti e impetuosi di quelli di cui possiamo avere esperienza qui sulla Terra. Ma cosa li alimentava? Quale tipo di tempo meteorologico li nutriva? Domande a cui è molto difficile rispondere a causa della conoscenza lacunosa del clima marziano di miliardi di anni fa.
Per ora gli scienziati della University of Chicago sono stati in grado di analizzare fotografie e modelli di elevazione – attraverso i dati prodotti dal High Resolution Imaging Science Experiment (HiRISE) e da Curiosity – di oltre 200 antichi letti di fiume appartenenti a un intervallo di tempo che supera un miliardo di anni. Gli alvei dei fiumi sono una incredibile fonte di indizi di come l’acqua vi sgorgasse all’interno e, soprattutto, del clima artefice di questi corsi d’acqua. A cosa serve conoscere le caratteristiche degli antichi fiumi di Marte attraverso le tracce lasciate nell’intricata rete che ne segna la superficie? I risultati, pubblicati su Science Advances, sono una guida per ricostruire il clima di Marte che non è quello che gli studiosi avevano precedentemente ipotizzato: tradizionalmente si pensava che ci fosse stato un periodo caldo e umido seguito da quello odierno, freddo e secco. Ora la prima fase sembra essersi spostata sulla linea del tempo, più vicina ai giorni nostri, e sembra si sia conclusa in maniera meno graduale di quanto si immaginasse. Edwin Kite, professore di geofisica, esperto di storia di Marte e climi e autore dell’articolo, pensa sia possibile che Marte attraversasse cicli secchi e umidi e ha commentato: “Il nostro lavoro risponde ad alcune domande esistenti ma ne formula di nuove. Cosa c’è di sbagliato: i modelli climatici, i modelli dell’evoluzione dell’atmosfera o la nostra comprensione di base della cronologia del Sistema solare interno?”. Quesiti a cui, dare una risposta, sarebbe utile anche nella comprensione dell’evoluzione futura della Terra.
Qualche problema di perforazione per InSight
Parlando delle ultime novità su Marte non possiamo fare a meno di dedicarci alla missione InSight.
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Il lander possiede una sonda – parte di uno strumento chiamato Heat and Physical Properties Package (HP3) – progettata per scavare al di sotto della superficie per 5 metri e misurare il calore proveniente dall’interno del Pianeta rosso. Ma dopo aver iniziato a trapanare, lo scorso 28 febbraio, la punta si è bloccata non raggiungendo i previsti 50 centimetri per sessione di misura.
Secondo gli ultimi aggiornamenti pubblicati dalla NASA si stanno raccogliendo nuove immagini e pianificando nuovi test di perforazione per capire cosa sia accaduto e per liberare, di conseguenza, quella che viene definita “the mole”, la talpa, la punta martellante di HP3. Potrebbe essere stata fermata da una singola roccia o da uno strato di ghiaia o ancora, la sonda o il suo cavo potrebbero essere bloccati da qualcosa all’interno dell’alloggiamento protettivo dello strumento.
I nuovi test di perforazione programmati dovrebbero permettere al sismometro di InSight di “sentire” l’impatto tra la punta e il suo ostacolo e dedurre quale potrebbe essere la causa del blocco. Nello stesso tempo la fotocamera fotograferà la struttura di supporto della “talpa” per catturare qualsiasi movimento indotto dal movimento della sonda. Inoltre, questo mese, una copia di HP3 sarà spedita presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA per permettere al team di ricercatori di testare la strumentazione, insieme agli ingegneri del centro aerospaziale tedesco (DLR), in cerca di possibili soluzioni.
Rimaniamo ancora un po’ sul Pianeta rosso e, per farlo, vi consigliamo di leggere l’articolo di Giovanni Bignami, “Progetto Marte: tra fantascienza e realtà”, pubblicato nel numero di dicembre 2016 di Sapere.
Credits immagine di copertina: foto di Reimund Bertrams da Pixabay