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luglio-agosto 2022

La grotta Azzurra di Samatorza

di Rita Blanos, Alessandro Pavan

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Passato, presente e futuro di una delle cavità più note del territorio del Friuli Venezia Giulia, la grotta Azzurra, di grande valore storico per le tracce lasciate dall’esercito austro-ungarico.

La fotogrammetria applicata ai beni culturali riveste un ruolo fondamentale per la ricostruzione di oggetti dal punto di vista tridimensionale. Gli esempi di restituzione di beni culturali ottenuti tramite questa tecnica sono ormai molto numerosi – si pensi agli interni delle chiese, alle facciate monumentali e alle piazze – con il vantaggio di rendere immediatamente la peculiarità degli edifici ricostruiti.
In quest’ottica, in occasione del centenario dalla fine della Grande Guerra, l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS ha voluto promuovere la conoscenza del patrimonio storico, culturale e ambientale della regione Friuli Venezia Giulia attraverso la realizzazione di un tour virtuale dell’ambiente interno della grotta Azzurra di Samatorza. La grotta, infatti, era stata utilizzata dall’esercito austro-ungarico durante la Prima guerra mondiale.

 

La Grande Guerra in Friuli Venezia Giulia

La Grande Guerra era stata voluta dall’Italia soprattutto per completare la conquista dei territori rimasti nelle mani dell’Impero asburgico dopo le tre guerre di indipendenza: Trento e Trieste. Seppure di lingua italiana e rivendicati da sempre, Trentino e Friuli Venezia Giulia erano regioni saldamente austriache e fu per questo motivo che, all’indomani della dichiarazione di guerra, la gran parte delle truppe italiane si concentrò lungo i confini orientali. Trieste non venne mai toccata dai combattimenti perché gli austro-ungarici avevano predisposto una possente linea difensiva che andava dal monte Trstelj al monte Ermada, un’altura composta da diverse cime, che sbarrava l’accesso verso la città.
In questa zona, si possono ancora vedere non solo i camminamenti e le trincee scavate dai soldati, ma anche le grotte utilizzate per scopi bellici. Il territorio di questa regione è caratterizzato infatti da importanti fenomeni di dissoluzione delle rocce calcaree dovuti all’azione di acque cariche di anidride carbonica. L’acqua penetra nelle fratture della roccia e, grazie alla sua azione erosiva, le allarga progressivamente fino a formare delle vere grotte, che possono raggiungere anche notevoli dimensioni. Sul carso triestino sono presenti più di 2700 grotte di varie forme e dimensioni, a sviluppo orizzontale o verticale.
Le grotte erano una risorsa molto utile offerta dal Carso all’esercito austro-ungarico e risultarono fondamentali per l’inviolabilità della linea difensiva del fronte. Proprio per questo motivo, venne istituito un reparto addetto alla ricerca, alla modifica e allo sfruttamento delle grotte presenti sulle linee del fronte e nelle retrovie; fu realizzato addirittura un manuale di queste pratiche, intitolato Der Kavernenbau.
A capo del reparto dedicato alle caverne, di solito c’era un ufficiale ingegnere che dirigeva minatori, scalpellini e lavoratori delle cave, reclutati tra i ranghi dell’esercito regolare austro-ungarico. Da luoghi frequentati per studio, le grotte diventarono, quindi, preziosi ricoveri nascosti e protetti dai bombardamenti, specie se l’ingresso era opposto al fronte nemico; in caso contrario, si provvedeva allo scavo di nuovi accessi strategici.
Se munite di prese esterne per il ricambio dell’aria, inoltre, le cavità naturali potevano essere adibite a depositi sicuri per ammassare munizioni e conservare viveri. Alcune furono attrezzate con generatori elettrici, diventando officine, centri di comando e spesso anche infermerie e luoghi di ricovero per i feriti e gli ammalati. Grazie alla temperatura e all’umidità più confortevoli rispetto all’esterno, le grotte, attrezzate con brande a castello, potevano poi ospitare i militari a riposo provati dalla prolungata privazione del sonno [1].
Tra le grotte utilizzate dall’esercito austro-ungarico sul Carso triestino troviamo ad esempio: la grotta del Motore, nella quale furono installati gruppi elettrogeni che fornivano la corrente elettrica alle linee del fronte; la grotta di Ternovizza, che fu utilizzata come ricovero militare per uomini e animali, e come deposito di munizioni; la grotta dell’Ospedale, sul monte Ermada, utilizzata come rifugio per i soldati feriti; e la grotta Azzurra, che, come vedremo, si rivelò un’importante risorsa grazie alla presenza di acqua potabile al suo interno.

 

La grotta Azzurra di Samatorza

La grotta Azzurra di Samatorza deve il suo nome al colore azzurro del cielo che si riflette sul fondo della cavità. Fu battezzata così da Carlo de Marchesetti, noto archeologo, botanico e paleontologo italiano, presidente della Società Adriatica di Scienze Naturali, vissuto a Trieste tra il 1850 e il 1926. A lui si devono i primi scavi in diverse grotte della regione Friuli Venezia Giulia, tra cui la grotta Azzurra, nella quale egli scoprì, in varie riprese, importanti oggetti dell’epoca neolitica.
Oltre ad avere una notevole estensione – ha uno sviluppo planimetrico di 235 metri e un’apertura arcuata di 25 metri, alta 6 metri nel punto massimo [2] – tale grotta è soprattutto nota per l’interesse storico che riveste. Grazie al costante stillicidio presente ancora oggi all’interno, proveniente da alcune concrezioni stalattitiche poste sulla volta della cavità, durante la Prima guerra mondiale la grotta Azzurra fu utilizzata soprattutto per l’approvvigionamento idrico, ma anche come ricovero per 500 uomini dell’esercito austro-ungarico.
Sono tuttora evidenti le tracce dei notevoli lavori di adattamento eseguiti all’epoca. Furono, infatti, costruite una condotta idrica e tre vasche di cemento per raccogliere l’acqua e creare quindi una riserva di acqua potabile. In tempi di guerra, l’acqua era una risorsa preziosa in questi territori che, per loro natura, non presentano risorse idriche superficiali. Sul bordo di una delle vasche è ancora ben visibile la scritta Erbaut 10/7/1917 von Herrn Oblt. H. Bock (costruita il 10 luglio 1917 dal signor tenente H. Bock).
Grazie alle sue notevoli dimensioni, la grotta fu utilizzata anche come rifugio per gli animali (asini e cavalli): in uno dei luoghi di raccolta, sul cordolo di cemento sono state infisse pietre carsiche che, probabilmente, servivano per legare gli animali portati all’abbeveratoio.
La grotta Azzurra, pur essendo una delle più facili da esplorare anche per le persone che non praticano la speleologia, richiede comunque un abbigliamento adatto e una certa abilità fisica. Infatti, il pendio detritico di un centinaio di metri, che dall’ampia apertura permette di raggiungere la base pianeggiante della sala principale, ha un’inclinazione di quasi 19° e risulta molto scivoloso a causa della presenza di acqua e fango. Inoltre, la luce naturale riesce a raggiungere solo i primi metri successivi all’ingresso della cavità, rendendo necessario l’uso di torce a chi volesse addentrarsi fino alla sala principale.
Per valorizzare questa cavità di grande valore storico e dare la possibilità al pubblico di visitarla virtualmente, l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS ha realizzato nell’estate del 2019 un modello tridimensionale dell’ambiente interno della grotta Azzurra.

 

La fotografia panoramica: concetti teorici

La tecnica che permette di creare un’immagine che copra un ampio angolo visivo si chiama fotografia panoramica e ha lo scopo di restituire una visione più ampia possibile di un paesaggio, calando l’osservatore all’interno di esso. I vantaggi di tale metodologia sono la grande velocità di esecuzione, l’elevata risoluzione, l’economicità dell’attrezzatura impiegata e la possibilità di avere un angolo di campo fino a 360°.
La fotografia panoramica consiste nella composizione, chiamata stitching, di diversi fotogrammi adiacenti, orizzontali e verticali, tramite software automatici che impiegano algoritmi complessi e procedimenti matematici in grado di riconoscere elementi corrispondenti nelle porzioni di foto adiacenti, purché la sovrapposizione sia sufficientemente ampia.
Per immagini prese dallo stesso punto nello spazio, lo stitching può essere realizzato su una qualsiasi superficie. Generalmente i software di stitching utilizzano tre modelli: un piano per panorami ridotti, un cilindro per panorami che abbracciano un ampio angolo di campo (180°) e una sfera per i panorami immersivi.
Per realizzare il tour virtuale della grotta Azzurra è stato utilizzato il modello sferico, che consiste nel proiettare su una sfera virtuale le immagini acquisite, ciascuna delle quali può essere immaginata tangente alla sfera stessa.
La sfera viene successivamente riproiettata sul piano cartografico con la rappresentazione equirettangolare (longitudine-latitudine), che rappresenta la proiezione della superficie di una sfera su un piano.
Dal punto di vista matematico, per ottenere la rappresentazione equirettangolare, si effettuano due trasformazioni.
La prima è una trasformazione da coordinate sferiche (dette anche coordinate polari nello spazio) a coordinate cartesiane nello spazio. Questo passaggio permette di rappresentare le coordinate di un punto posto sulla superficie di una sfera, a una distanza r dal suo centro, tramite le corrispondenti coordinate nello spazio tridimensionale, una volta noti l’angolo polare e l’azimut del punto.
La seconda è una trasformazione da coordinate cartesiane nello spazio a coordinate cartesiane nel piano, che avviene tramite equazioni chiamate di collinearità, le quali indicano la relazione che c’è tra le coordinate di un punto in uno spazio tridimensionale e le sue coordinate sul piano dell’immagine [3].
La rappresentazione equirettangolare così ottenuta mostra una vista di 360° in orizzontale e 180° in verticale, vale a dire di tutta la sfera. Le dimensioni delle immagini equirettangolari ottenute sono variabili, fino a un massimo di 10000 × 2000 pixel, l’angolo di campo arriva fino a 360° e la distorsione ottica è praticamente nulla, essendo corretta dal software di stitching.
Questo tipo di immagini appositamente create per essere viste da un osservatore collocato virtualmente dentro una sfera, se visualizzate sul piano non risultano né conformi, né equivalenti, ossia non mantengono i rapporti tra le superfici. Nello specifico, tutte le linee verticali dello spazio rimangono tali, mentre le linee orizzontali degenerano in curve, fatta eccezione per quella dell’orizzonte. I poli, inoltre, risultano “stirati” per l’intera larghezza dell’immagine in corrispondenza dei bordi superiore e inferiore.

 

Il rilievo nella grotta Azzurra

Il rilievo fotografico presso la grotta Azzurra è stato effettuato dai tecnici dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale e da personale della Società Alpina delle Giulie nell’estate del 2019. Per la realizzazione del tour virtuale fotografico è stata utilizzata una fotocamera reflex full frame, montata su una testa panoramica. Questo tipo di installazione permette di scattare le fotografie ruotando la camera attorno all’asse verticale passante per il punto nodale della lente, in modo da ottimizzare l’allineamento delle fotografie adiacenti.
Come abbiamo visto, la grotta ha uno sviluppo planimetrico di più di 200 metri e già dopo i primi metri dall’ingresso viene a mancare completamente la luce naturale. Per poter realizzare le riprese in prossimità delle tre vasche di cemento, che si trovano a più di 50 metri dall’ingresso, si è reso necessario illuminare la cavità mediante un sistema di fari alogeni, cercando di mantenere l’illuminazione il più uniforme possibile.
Lo schema di ripresa ha previsto l’acquisizione di fotogrammi su tutta la circonferenza, più una foto nadirale e una zenitale, cioè foto ottenute con la camera inclinata di 90° rispetto al piano orizzontale (in modo da riprendere i due punti di intersezione della sfera con la verticale passante per la sua origine), per un totale di 28 foto per ogni postazione e 4 postazioni: una esterna alla cavità e tre interne in corrispondenza delle tre vasche di cemento costruite dall’esercito austro-ungarico.

 

Progetto PEACE

La realizzazione del tour virtuale della grotta Azzurra fa parte di un progetto finanziato dalla regione Friuli Venezia Giulia, denominato PEACE rivolto alle scuole secondarie della regione. Il progetto è nato dalla collaborazione fra la Società Alpina delle Giulie e il museo della Guerra per la Pace “Diego de Henriquez” e ha previsto la realizzazione di una pagina web che ospita il tour virtuale alla grotta Azzurra.

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