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10 Giu 2022

Cosmetici “senza”: quando la chimica fa (ingiustamente) paura

Davide Musardo

Davide Musardo
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Senza parabeni. Senza coloranti. Senza siliconi. La cosmetica dei “senza” è prossima ai 395 milioni di euro di vendite annue, secondo un recente rapporto dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy. Alcuni claim la fanno da padrone raccontando talvolta la verità, altri invece alimentano ancora la cosiddetta chemofobia, una paura ingiustificata verso tutto ciò che è chimico (di cui si parla qui).
L’analisi di GS1 Italy, che in questa decima edizione raccoglie i dati fino a giugno 2021 e li confronta con l’anno precedente, è stata realizzata su più di 125 000 prodotti di largo consumo, di cui 20 000 per il mondo della bellezza. Il perimetro di analisi comprende il canale ipermercati e supermercati.
Il report evidenzia alcuni claim storici come “senza alcol” o “senza parabeni” (composti organici usati come conservanti in cosmetica) tra quelli più rilevanti sul mercato. Altri come “senza ftalati” (sostanze usate per rendere la plastica più flessibile, oppure come solventi nei profumi o negli smalti per unghie) che appaiono sempre meno accattivanti per i consumatori.

 

Com’è nata la cosmesi dei “senza”?

Come ricorda la prof.ssa Semenzato, docente di chimica all’Università di Padova, in una recente intervista su Cosmopolo, la cosmesi del senza è nata diversi anni fa con uno scopo aulico: garantire maggiore sicurezza per le pelli sensibili, evitando ad esempio i profumi o trovando valide alternative ai conservanti. Tuttavia, la situazione è sfuggita di mano, con un uso spesso indiscriminato di questi claim.

 

Qualche certezza ma anche tanta confusione

Se “senza profumo” può fornire indicazioni chiare per chi vuole evitare alcuni allergeni, il claim “senza parabeni” è allarmistico e getta discredito su questa famiglia di conservanti per timori inerenti alla loro tossicità. Quando, a ben guardare nel Regolamento Cosmetico n°1223/2009 – valido in tutta l’Unione Europea – questi composti insieme a tanti altri sono altamente regolati. Infatti, le sostanze che possono rappresentare un rischio per la salute sono vietate (gli ftalati tossici per la riproduzione umana), altre invece sono permesse a seconda del tipo di utilizzo e concentrazione (alcuni parabeni appunto).
Un altro esempio che genera confusione è quello relativo al claim “senza solfati”. Questo può fornire informazioni utili a patto che sia contestualizzato. Va bene usato per uno shampoo, in quanto i solfati come il sodium lauryl sulfate (SLS) hanno proprietà detergenti. Un prodotto senza solfati può essere più difficile da formulare e generalmente crea meno schiuma: allora perché non spiegarlo chiaramente all’utente finale? Utilizzare lo stesso claim per una crema viso è invece fuorviante e ingannevole e non fa altro che incrementare l’aura di negatività che aleggia attorno a queste sostanze, ritenute in grado di danneggiare il capello o, peggio, di causare il cancro.

 

 

 

Quali soluzioni?

Si potrebbe raccontare cosa c’è nel prodotto, soffermandosi su cosa è stato aggiunto per conferire le proprietà idratanti o protettive, così tanto ricercate. Inoltre bisognerebbe ridurre l’uso banale e senza distinzioni di questi claim, lavorando per una comunicazione efficace e veritiera, che sappia informare il consumatore senza spaventarlo ed esacerbando la già onnipresente diffidenza per la chimica.

Davide Musardo
Davide Musardo
Laureato in Biotecnologie Mediche e Nanobiotecnologie, Davide Musardo ha intrapreso il Master in Scienze Cosmetiche presso l’Università di Pavia nel 2017 e attualmente lavora in Belgio nel settore della consulenza e regolatorio cosmetico. Adora la cucina, la fotografia e l’hiking.
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