Le competenze scientifiche che la civiltà dell’antico Egitto sembra aver posseduto sono per noi fonte di fascinazione. Tra queste, spicca una grande padronanza delle proprietà dei materiali e dei loro comportamenti. Una pubblicazione dell’Università di Copenaghen suggerisce che gli antichi Egizi avessero delle conoscenze sugli inchiostri che si credevano risalire al XV secolo. Un elemento, in particolare, sarebbe stato impiegato nell’arte scrittoria per le sue qualità: il piombo.
La chimica nell’antico Egitto
La chimica nacque nella Valle del Nilo. I termini alchimia e chimica devono la loro radice a Kmt, terra nera, nome con cui gli Egizi chiamavano il proprio paese. L’antico popolo, secondo le fonti, sarebbe stato il primo a osservare i cambiamenti che avvengono nei materiali, le reazioni chimiche, e ad attribuirli a divinità.
Il natron, carbonato di sodio idrato, e il nitro, nitrato di potassio, ad esempio, venivano indicati con lo stesso simbolo di dio. Mentre il natron era considerato benefico, però, il nitro era visto come emanazione malefica, perché attaccava e distruggeva le fondamenta di costruzioni e luoghi sacri e, secondo gli antichi Egizi, le fondamenta dell’Universo intero [1].
Cosa c’era negli inchiostri dei papiri egizi?
La stessa cognizione dei comportamenti delle sostanze chimiche sembra essere confermata da un recente studio [2], che ha analizzato la composizione di inchiostri su papiri provenienti dall’unica biblioteca dell’antico Egitto ancora esistente, quella del tempio di Tebtunis. La biblioteca custodisce un’importante raccolta di papiri, che si sono conservati in migliaia di frammenti provenienti da circa 500 manoscritti risalenti al periodo tra il 100 e il 300 d. C., quando l’Egitto era sotto il controllo dell’Impero Romano. Una parte di questa raccolta è oggi custodita all’Università di Copenaghen, che ha guidato la ricerca insieme all’ESRF (European Synchrotron Radiation Facility) di Grenoble.
I ricercatori hanno analizzato dodici frammenti di papiri scritti con inchiostri neri e rossi. Le analisi, effettuate con i raggi X e gli infrarossi, hanno rivelato la presenza di piombo. Il dato interessante, però, è che nessun pigmento a base di piombo è stato identificato. Gli inchiostri neri, utilizzati per il corpo del testo, sono infatti tipicamente a base di carbonio e venivano ottenuti bruciando legno o olio. Gli inchiostri rossi invece, riservati ai titoli e alle parole chiave, sono a base di ossidi di ferro. Questi pigmenti venivano miscelati con gomme vegetali e talvolta con olii, poi essiccati e conservati in panetti fino all’utilizzo.
La chimica degli antichi papiri
Il piombo è stato rilevato sotto forma di carbossilati, fosfati e solfati, distribuito intorno alle particelle di inchiostro più grandi. Non è però presente nel papiro, e questo ha permesso di escludere una contaminazione dall’ambiente o dal supporto. Anche l’ipotesi che l’elemento provenga da pigmenti ormai alterati non convince gli autori. Il degrado dei pigmenti a base di piombo, infatti, necessita di un livello di umidità prolungato, tale da non permettere la conservazione dei papiri.
Gli studiosi hanno proposto quindi che il metallo sia stato aggiunto per una ragione ben precisa: le sue proprietà siccative, che permettono agli inchiostri e alla pittura di asciugare bene e velocemente, evitando sbavature o cancellazioni. Queste proprietà erano ben note agli artisti europei del Cinquecento, e dipendono dal fatto il piombo, sotto forma di ossidi, è in grado di promuovere fenomeni ossidativi, alla base dell’essiccamento degli olii [3].
Gli autori della ricerca affermano che l’inchiostro è storia, perché utilizzato da più di 5000 anni per tramandare contenuti e immagini. Considerata la sua complessa composizione e le quantità necessarie a una biblioteca come quella di Tebtunis, è improbabile che venisse prodotto dai sacerdoti del tempio, autori dei manoscritti. Verosimilmente, gli inchiostri erano acquistati da laboratori specializzati che, come avveniva per la pittura del periodo rinascimentale, custodivano gelosamente i segreti delle loro ricette. Dopo 2000 anni, svelarne gli espedienti è ancora complicato.
Bibliografia
[1] Scienza egizia: Tecnologia, di Sydney Aufrère, Enciclopedia Treccani.
[2] Thomas Christiansen et al., Insights into the composition of ancient Egyptian red and black inks on papyri achieved by synchrotron-based microanalyses, PNAS, 10 Novembre 2020, 117, 45, 27825-27835.
[3] Charles S. Tumosa and Marion F. Mecklenburg, The influence of lead ions on the drying of oils, Reviews in Conservation, 6, 2005.