“Tieni a freno gli ormoni!”. Chi di noi non ha pronunciato o sentito pronunciare, almeno una volta, questa frase? Pur essendo famosi nella cultura popolare, però, pochi sanno cosa siano effettivamente gli ormoni, come la somatostatina.
“Tieni a freno gli ormoni!”. Chi di noi non ha pronunciato o sentito pronunciare, almeno una volta, questa frase? Pur essendo famosi nella cultura popolare, però, pochi sanno cosa siano effettivamente gli ormoni, quali strutture abbiano, e con quale meccanismo molecolare agiscano. Gli ormoni (dal greco όρμάω – “mettere in movimento”) sono in effetti messaggeri chimici in grado di trasmettere segnali da cellula a cellula e sono prodotti dall’organismo con funzione di regolazione metabolica o per modulare l’attività di organi e tessuti.
La somatostatina
Tra i tanti ormoni prodotti dal corpo umano, uno piuttosto importante è la somatostatina. Questa, di struttura simile alle proteine, è prodotta in varie regioni dell’organismo, tra cui dall’ipotalamo, il pancreas e il tratto gastro-intestinale, e svolge funzioni diverse a seconda appunto della zona in cui viene rilasciata.
Sebbene la sua formula chimica (a sinistra in figura) appaia piuttosto complessa, può essere rappresentata in maniera semplice con la sequenza impronunciabile di lettere AGCKNFFWKTFTSC, ciascuna rappresentante un amminoacido secondo la convenzione a una lettera. I singoli amminoacidi sono legati tra loro come le perle di una collana, mentre il terzo e l’ultimo (due cisteine, simbolo C) sono legati ulteriormente tra loro. In questo modo la struttura sembra proprio una collana con un pendaglio composto dai primi due amminoacidi. Nella parte sinistra della figura, per facilitare la lettura, ciascun amminoacido è rappresentato da un pallino.
Gli usi farmacologici
Scoperta nel 1968, la somatostatina per alcuni anni ha destato grandi speranze in quanto si credeva che avrebbe potuto curare molte malattie e disfunzioni, ma questo entusiasmo iniziale venne frenato dalla sua mancanza di specificità d’azione e dai suoi effetti collaterali. A oggi il suo uso è stato accreditato solo in endocrinologia per la cura di tumori benigni dell’ipofisi e poche altre patologie.
Il livello di somatostatina nel corpo umano aumenta con l’avanzare degli anni e viene per questo anche chiamato “ormone della vecchiaia”. Una conseguenza molto interessante di ciò è l’abbassamento del livello dei fattori di crescita e un rallentamento del metabolismo, motivo per cui invecchiando si tende più facilmente alla pinguedine.
Il caso Di Bella
Nel nostro paese la sostanza è diventata molto famosa a partire dal 1997 perché era l’ingrediente principale del metodo del prof. Luigi Di Bella (MDB) per la cura dei tumori, proprio per le sue proprietà di inibizione del rilascio di fattori di crescita che vengono usati anche dalle cellule cancerose per moltiplicarsi.
In particolare la cura Di Bella prevedeva la somministrazione di:
- somatostatina (3 mg), o il suo analogo octreotide
- bromocriptina (2,5 mg), che ha ulteriori capacità inibitorie verso il rilascio dell’ormone della crescita
- ciclofosfamide (50 mg), chemioterapico usato in molte terapie anti-tumorali
- melatonina (20 mg), in combinazione con l’adenosina
- complesso vitaminico (7 g), soluzione di retinoidi e vitamine E, C e D
ed altri farmaci, da scegliere da un nutrito carniere a seconda del tipo di neoplasia.
Quest’approccio fu utilizzato per anni senza alcuna validazione ufficiale, a partire dagli anni ’70, per cui da un lato le guarigioni erano semplicemente “raccontate” dai pazienti, e dall’altro i farmaci, costosissimi e quasi introvabili, erano completamente a carico dei pazienti stessi. Sull’onda di una impressionante campagna mediatica, nel 1998 fu avviata la sperimentazione del metodo, su ordine dell’allora ministro della salute Rosi Bindi, nonostante la mancanza di validi presupposti scientifici: se la cura si fosse rivelata efficace, i farmaci sarebbero stati distribuiti gratuitamente dal sistema sanitario nazionale, per cui la posta in gioco era altissima.
Le sperimentazioni, condotte in vari ospedali italiani e seguendo il protocollo stabilito d’intesa con lo staff del prof. Di Bella, però, non dimostrarono un’apprezzabile efficacia anticancro, evidenziando invece effetti negativi a volte anche molto gravi. I risultati furono pubblicati nello stesso anno sulla rivista British Medical Journal in un articolo dal titolo emblematico: “Evaluation of an unconventional cancer treatment (the Di Bella multitherapy): results of phase II trials in Italy”. A oggi questo è l’unico dato con una valenza scientifica attendibile essendo stato pubblicato su una rivista riconosciuta dalla scientifica e definita “peer rewieved”, ovvero valutata da pari.
Ma si sa, l’Italia è il paese delle polemiche e la storia non finì lì perché i sostenitori della terapia accusarono gli sperimentatori di non aver seguito correttamente i protocolli per diversi motivi; tali irregolarità furono evidenziate anche dalle forze dell’ordine, ma secondo gli sperimentatori non avrebbero inficiato i risultati finali. L’intera vicenda sarebbe troppo lunga da raccontare qui, ma a oggi il MDB, pur non essendo riconosciuto ufficialmente, viene comunque somministrato in maniera legale, con spese a carico dei pazienti che lo richiedono.
La vicenda è infine interessante perché nell’era dei social media (Facebook in particolare) e delle post-verità, false notizie su presunte validazioni del metodo e riabilitazione postuma del prof. Di Bella (che nel frattempo è deceduto) tornano ciclicamente alla ribalta sotto forma di bufale acchiappa-click.
