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23 Mar 2020

Lavarsi le mani: una abitudine antica

Massimo Trotta

Massimo Trotta
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È una abitudine antica, certamente ne abbiamo notizia sin dal Nuovo Testamento quando Pilato decide che non è più in grado di controllare il destino di Gesù Cristo, e se ne lava le mani. Da questa storia l’aggettivo “pilatesco” che descrive coloro che non si assumono la responsabilità davanti a una scelta. Come quei governi che decidono di lasciare evolvere l’epidemia senza prendere iniziative di mitigazione o di coloro che in tempi di distanziamento sociale ignorano le regole dettate dal buonsenso.

È una abitudine antica, certamente ne abbiamo notizia sin dal Nuovo Testamento quando Pilato decide che non è più in grado di controllare il destino di Gesù Cristo, e se ne lava le mani. Da questa storia l’aggettivo “pilatesco” che descrive coloro che non si assumono la responsabilità davanti a una scelta. Come quei governi che decidono di lasciare evolvere l’epidemia senza prendere iniziative di mitigazione o di coloro che in tempi di distanziamento sociale ignorano le regole dettate dal buonsenso.
Un salto di qualche secolo ci trasporta nel 1846, quando il medico ostetrico ungherese Ignác Fülöp Semmelweis intuì che la disinfezione delle mani dei medici che passavano dalle autopsie alle corsie ospedaliere fosse l’unico metodo per ridurre i focolai di febbri puerperali che costavano la vita fino al 10% delle donne ricoverate. Nella clinica di Vienna in cui operava, Semmelweis introdusse il protocollo, fortemente osteggiato dai responsabili dell’ospedale, di cambiare lenzuola frequentemente alle pazienti e di obbligare i medici a disinfettare le mani passando dall’obitorio al reparto. Nonostante questi obblighi avessero ridotto la mortalità delle partorienti dal 10% a circa l’1%, le cronache del tempo raccontano che le idee di Semmelweis lo resero inviso alla comunità ospedaliera, dalla quale fu poi allontanato.
Per fortuna, Louis Pasteur e Joseph Lister rivalutarono i protocolli di Semmelweis rendendoli universalmente accettati. Grazie a questi protocolli è possibile mettere in piedi dei presidi di difesa personale dall’attacco di virus e batteri: lavarsi le mani!

Perché occorre lavarsi le mani?

Una soluzione così semplice eppure così efficace. Perché, però, un approccio così vecchia maniera funziona?
I virus influenzali, i coronavirus e tanti altri sono trasmessi attraverso le mucose della bocca e del naso e attraverso gli umori degli occhi. Da questa modalità discendono le norme di comportamento per difendersi dal coronavirus SARS-CoV-2. La più importante è, repetita iuvant, lavarsi spesso le mani con acqua e sapone o usando un gel a base alcolica. Questo è il presidio igienico zero.  
Il virus infatti non riesce a raggiungere l’interno del corpo attraverso l’epidermide. Noi, però, ci tocchiamo il volto con le mani in media 15-20 volte al minuto e in queste occasioni le nostre mani, mal disinfettate, potrebbero entrare in contatto con le mucose della bocca, del naso o con gli umori degli occhi, da dove il virus riesce a infettarci. Qui entra in gioco il presidio igienico uno, non toccarsi occhi, naso e bocca con le mani.
Ma perché funziona lavarsi le mani, anche solo con il sapone?
Perché i batteri per sopravvivere devono separare quello che hanno all’interno da quello che c’è all’esterno della loro cellula circondando il loro interno con una membrana. I virus, come ad esempio il SARS-CoV-2, sono rivestiti da una foresta di proteine che estrudono all’esterno (la corona). Membrane e proteine sono l’obiettivo dei saponi. Le nostre comuni saponette sono formate da molecole di tensioattivi – o surfattanti – costituite da due porzioni antitetiche, un po’ come il diavolo e l’acqua santa. Una porzione ama stare con il grasso e l’unto – la coda lipofila – e una porzione ama stare con l’acqua, la testa idrofilica. Sciolti in acqua e al di sopra di una concentrazione di soglia, solitamente molto bassa, scatta il tipico comportamento dei bimbi all’asilo: voler stare con i propri simili, per dirla con Cicerone Pares cum paribus facillime congregantur. Ne consegue che le code idrofobiche tendono a stare insieme, cercando di allontanare il più possibile le teste idrofiliche che vogliono invece stare nell’acqua. Il risultato è che si formano delle minuscole goccioline, chiamate micelle, in cui la parte esterna circonda e delimita quella interna e in quest’ultima si scoglie, ad esempio, lo sporco grasso. I tensioattivi sono capaci di “sciogliere” le membrane batteriche e denaturare le proteine che circondano il coronavirus; i frammenti che risultano si sciolgono nelle micelle e vengono portati via con il risciacquo delle mani. Il processo non è immediato, richiede del tempo ed è per questo che il lavaggio delle mani deve essere compiuto per almeno un minuto. È la stessa ragione per cui ci laviamo le mani dopo i nostri bisogni fisiologici.
Il meccanismo dei disinfettanti a base alcolica è lo stesso: disgregare membrane e proteine, solo che lo fanno più in fretta!

Massimo Trotta
Massimo Trotta
Massimo è chimico e svolge la sua attività di ricerca presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto per i Processi Chimico Fisici. Si occupa di fotosintesi batterica e delle sue applicazioni ambientali. Recentemente è stato insignito della Medaglia d’oro per la divulgazione della Società Chimica Italiana.
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