“Purple haze, all in my brain
Lately things they don’t seem the same
Actin’ funny, but I don’t know why
Excuse me while I kiss the sky”
J. Hendrix et al., 1967
Il nostro viaggio nei parallelismi tra Chimica e Musica parte da qui: da una nebbia viola, la stessa nebbia che apparve a Bernard Courtois mentre cercava di sfruttare delle alghe come fonte di potassio, trattandole con acido solforico.
Il nostro Bernard aveva intrapreso questa strada non convenzionale a causa della carenza di salnitro – nitrato di potassio, KNO3 – fondamentale per la fabbricazione della polvere da sparo ai tempi delle guerre napoleoniche, e si trovò così a osservare per primo un nuovo elemento del gruppo degli alogeni, che venne poi battezzato da Gay-Lussac – chimico e fisico francese, conosciuto per le leggi dei gas – col nome di iodio, dal greco iodes, per l’appunto “viola”.
C’è da dire che, cento anni dopo, probabilmente Jimi Hendrix non s’intendesse di Storia della Chimica e che, quindi, si riferisse all’immagine poetica della nebbia viola semplicemente per evocare il piacevole stordimento dei sensi indotto dall’innamoramento: «whatever it is, that girl put a spell on me». Ciò nonostante, all’occhio dell’attento Musichimico, i punti in comune sono molteplici e suggestivi a più livelli.
Alogeni e accordi di settima
A parte la curiosa coincidenza cromatica, c’è un aspetto che accomuna lo iodio, e gli alogeni in generale, al rock-blues di matrice hendrixiana: la continua tensione verso la risoluzione.
In chimica questo concetto si estrinseca nella spettacolare reattività degli alogeni, che hanno una precisa necessità, una precisa tensione: avrebbero bisogno soltanto di una piccola quantità di carica negativa in più per sentirsi davvero completi; il chimico statunitense Lewis direbbe “per completare l’ottetto”, uno studioso di armonia funzionale direbbe “per risolvere” ma il concetto è lo stesso. Talvolta gli alogeni “risolvono” decidendo di condividere un po’ di carica tra loro, altre volte se la fanno prestare dall’ossigeno – noto per la sua disponibilità a condividere la propria – e capita persino che la strappino da qualcuno che ne ha un po’ in eccesso e ha molta voglia di liberarsene, come i metalli alcalini. Quando questo avviene funzionano come “generatori di Sali”, ovvero “alogeni”, dal greco alo (sale) + geno (generare)”.
Per una coincidenza che ha dell’inimmaginabile, la musica di Hendrix, come tutto il blues e il soul da cui ha attinto a piene mani, è basata sull’accordo più tensivo di tutti, il cosiddetto “accordo di settima”, che ha al suo interno due note che insieme producono un’importante dissonanza, il cosiddetto “tritono”.
Il tritono è così fastidioso che era bandito dalle composizioni sacre e bollato come diabolus in musica nel Medioevo, ma ha una funzione miliare nella musica occidentale: le note che lo compongono sono vicinissime, in termini di frequenza, a due note che invece presentano una quasi perfetta consonanza. A tali note tende l’accordo di settima, “risolvendo” mediante la cosiddetta cadenza perfetta sull’accordo di tonica: il gas nobile dell’armonia, quello che basta a se stesso, il minimo termodinamico di qualsiasi composizione.
Tuttavia, il bello della “Purple Haze” – sia il pezzo di Hendrix che la forma molecolare dello iodio – sta proprio nella non-risoluzione: che siano accordi di settima che si susseguono senza mai atterrare sull’ottava o elementi del settimo gruppo che non completano mai l’ottetto, assistiamo alla danza in volute dell’energia potenziale, e non possiamo far altro che rimanerne rapiti e, per dirla con Jimi, innamorati.

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