Chi come me ha vissuto la bella esperienza di fare una ricerca in una biblioteca, di avere tra le mani un manoscritto e sentirsi un viaggiatore nel tempo o chi ha avuto la fortuna di avere genitori capaci di investire sulla formazione dei figli, regalando loro pregevoli volumi di enciclopedie costosissime, non può non constatare amareggiato che, nell’era della digitalizzazione, queste esperienze sono destinate a sparire. Sono ricordi che andrebbero tenuti ben stretti.
Ho visto per anni mio padre, nei conti di fine mese, inserire anche la pesante rata della nostra enciclopedia (volumi rigorosamente in pelle!), ma non ho mai colto pentimento o rammarico per quella spesa che incideva non poco sul bilancio familiare: era una scommessa sull’istruzione dell’intera famiglia, una garanzia per le nostre ricerche scolastiche e per lui, che era appassionato di enigmistica, un mettersi alla prova nel riuscire a trovare la risposta cercata tra le decine di volumi in bella mostra nel nostro soggiorno.
Poi è arrivato il computer e i nostri mappamondi, le enciclopedie, gli atlanti sono finiti nelle cantine umide e polverose. Digitiamo poche parole e… clic… recuperiamo i nostri documenti da un archivio digitale e magari, contemporaneamente, ammiriamo un van Gogh e cerchiamo di dare risposta ai nostri figli che ci chiedono il nome impronunciabile del dinosauro che hanno visto nel loro cartone preferito.
Come è nata l’idea di Wikipedia?
Negli anni Ottanta del secolo scorso, proprio quando i personal computer cominciavano a occupare le nostre scrivanie, Ward Cunningham, programmatore di Portland, nell’Oregon, era alla ricerca di metodi innovativi per facilitare la scrittura del software.
A Cunningham, che gestiva con sua moglie Karen una società di consulenza informatica, la Cunningham & Cunningham, venne in mente di creare un pattern, una specie di modulo predefinito, che i suoi programmatori potessero sfruttare per pubblicare facilmente contenuti sul suo sito web, “C2.com”, permettendo loro di lavorare direttamente da casa.
Lo raccontò così: «Avevo circa cinquecento dipendenti. Ho programmato la prima forma di quello che sarebbe diventato un “wiki” in un paio di giorni e quando l’ho messo in funzione mi ha travolto la sua velocità. Dovevo dargli subito un nome! Quick Web, ho pensato! Sapevo però che in hawaiano “wiki-wiki” significava “molto veloce”, così ho pensato a WikiWikiWeb che, tra l’altro, avrebbe avuto un’assonanza con il WWW – World Wide Web».
Nel 1996, un ex agente di borsa dell’Alabama, Jimmy Wales, con l’intento di progettare un portale di ricerca di musica pop, diede vita al sito “Bomis.com”, strutturato come un indice di collegamenti (link) a pagine web contenenti informazioni legate a questo tema. Si permetteva agli utenti, se ne avessero avuto il desiderio, di arricchire i contenuti semplicemente ampliando le voci dell’indice.
Partendo dal discreto successo di “Bomis.com”, Wales pensò di avviare un progetto parallelo per creare un’enciclopedia online “libera”, i cui contenuti potessero essere scritti da chiunque e condivisi senza problemi di copyright. Così, nell’ottobre del 1999, lanciò l’enciclopedia web Nupedia, scritta esclusivamente da volontari, i cui articoli dovevano però passare attraverso un processo di revisione da parte di redattori esperti.
Wales assunse come redattore capo Larry Sanger, dottorando in filosofia che si dilettava con Internet: «Nell’autunno del 2000, Jimmy e io constatammo la lenta crescita di Nupedia e ci attivammo per trovare un modo per consentire alla gente comune, non accreditata, di partecipare al progetto. Stavo pensando intensamente a come creare un sistema più aperto, quando una sera mi sono ritrovato a cena con il mio vecchio amico Ben Kovitz. Eravamo in un ristorante messicano di Pacific Beach, era il 2 gennaio 2001 e Ben mi illustrò l’idea del WikiWikiWeb di Cunningham e… bingo!».
Wales e Sanger capirono immediatamente che i wiki avrebbero funzionato bene e così, il 15 gennaio 2001, lanciarono il nuovo progetto indipendente, l’enciclopedia dei wiki, o meglio “Wiki(enciclo)pedia.com”.
Le prime voci di Wikipedia
Cosa inserire? Non era un sito a tema, da dove cominciare? Dalle lettere dell’alfabeto, naturalmente! «Abbiamo creato un elenco, dalla A alla Z, e abbiamo inserito una voce per ognuno degli Stati degli USA. Ecco, quindi, sono nate le prime 50 pagine. Era abbastanza facile».
Alla fine di gennaio erano stati inseriti circa 600 articoli, 1300 a marzo, 2300 ad aprile e 3900 a maggio (con “articolo” si intende qualsiasi pagina contenuta in Wikipedia, anche costituita da una sola virgola).
Oggi, si contano 6 milioni di articoli (in inglese), oltre 55 milioni di pagine scritte in centinaia di altre lingue e dialetti, un po’ meno di 900.000 file caricati, più di 40 milioni di utenti registrati (oltre 127.000 dei quali ancora attivi almeno una volta al mese) e un paio di decine di miliardi di pagine viste al mese. Si stima che i 55 milioni di articoli, possano equivalere a più di 20.000 volumi rilegati.
Il cambio del dominio: da .com a .org
Nel 2003 si è costituita la Wikimedia Foundation, una no-profit con sede a San Francisco che si occupa della gestione dei server (i computer su cui queste pagine sono memorizzate), della raccolta di fondi, dei problemi legali e delle iniziative che portano avanti il progetto. Il compito principale della fondazione, il cui motto è “immaginare un mondo in cui ogni singola persona sul pianeta abbia libero accesso alla somma di tutta la conoscenza umana”, è soprattutto quello di gestire gli “editori” volontari, circa 40.000.
Wikipedia, gli stereotipi e la ricerca delle fonti
Devo però constatare che, anche in questo caso, non mancano gli stereotipi di genere che purtroppo caratterizzano tutti i colossi della rete: l’80% delle pagine in inglese è scritto da uomini bianchi e solo il 18% delle pagine biografiche sono dedicate alle donne, quasi come se la storia e l’evoluzione sociale fossero dovute all’ingegno e all’impegno dei soli uomini.
Da storica, ho sempre trattato i contenuti di Wikipedia con molta cautela, rimanendo fedele alla ricerca delle fonti, in costante contrasto con i miei figli (e purtroppo, alcune volte, anche con i miei studenti!) che prendono le notizie desunte da questa enciclopedia come verità assolute e incontrastabili. Devo ammettere, però, che anche per noi che abbiamo navigato a vista tra le ragnatele di vecchi archivi (più che essere surfisti di una rete che ancora non esisteva), i nomi e le fonti sulle cui tracce giungevamo dopo lunghi percorsi, adesso sarebbero stati a portata di clic. Di certo avrei risparmiato molto tempo ed energie, ma è difficile dire se, in fondo, quel tempo e quelle energie non siano state esse stesse il vero senso della ricerca.
Da qualche anno, ho smesso anche io di far finta di non usare Wikipedia, avendo dovuto constatare che rimane comunque un serbatoio preziosissimo di notizie, soprattutto quando ci si addentra in argomenti sconosciuti per i quali si brancola nel buio.
Sono certa, però, che mio padre non si sarebbe più divertito e che avrebbe piuttosto preferito abbandonare l’enigmistica.
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