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24 Mar 2018

Gli animali più pericolosi? Gli insospettabili

Marco Signore

Marco Signore
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A causa di “documentari” scriteriati e di leggende metropolitane, oltre che di millenarie imposizioni culturali, siamo portati a pensare agli animali come pericolosissimi esseri inferiori. La cosa interessante, però, è che il rischio di essere sopraffatti e uccisi da un predatore era reale solo nei primi tempi della nostra storia, ed è andato via via riducendosi davvero ai minimi termini.

A causa di “documentari” scriteriati e di leggende metropolitane, oltre che di millenarie imposizioni culturali, siamo portati a pensare agli animali come pericolosissimi esseri inferiori. La cosa interessante, però, è che il rischio di essere sopraffatti e uccisi da un predatore era reale solo nei primi tempi della nostra storia, ed è andato via via riducendosi davvero ai minimi termini. Le belve feroci vengono usate come spauracchio, come avvertimento, e anche come espediente letterario o poetico per particolari avvenimenti, per permettere ad una storia di proseguire, quasi come se un animale selvatico fosse un deus ex machina malvagio, che salva l’autore in un momento di chiaro panico.

 

Se chiedessimo ai nostri amici e conoscenti di nominarci tre animali mortali, probabilmente ci risponderebbero elencando serpenti, grandi felini, lupi, orsi, squali (questi non mancano mai, grazie anche alla cultura popolare contemporanea), e qualcuno con più documentari sotto la pancia nominerebbe le meduse, per lo meno quelle australiane. Hanno torto? In principio forse no, nel senso che potenzialmente un incontro con un leone arrabbiato – o peggio, con un ippopotamo nel suo territorio – può risultare letale, come può esserlo il contatto con una medusa di quelle che vengono chiamate irukandji in Australia. Eppure la verità, come sempre, supera di gran lunga la fantasia. Andiamo a scoprire come.

 

Incidenti e animali

 

Gli amanti delle statistiche sono alla continua ricerca di eventi da inserire nelle loro matrici di dati, ma non sono poche le ricerche in questo ambito derivate dalla necessità di conoscere potenziali pericoli (nonostante tutti i caveat della materia). Uno di questi studi è stato da pochissimo pubblicato da ricercatori della prestigiosa Stanford University, in USA, sul Journal of Wilderness Medicine, un periodico scientifico che si occupa – come il nome suggerisce – di problemi di salute legati al territorio selvatico. Questo lavoro si è focalizzato sull’esame dei casi di “morte per animali” registrati negli Stati Uniti dal 2008 al 2015, e ha fornito risultati che forse per i non addetti ai lavori sono davvero sorprendenti: i veri “killer” non sono gli animali selvatici ma quelli domestici, oltre, naturalmente, agli insetti che vivono accanto a noi ogni giorno. Su 1.610 casi studiati, circa il 43% dei decessi è stato provocato da animali velenosi, di cui gli USA non sono certamente carenti. Ma la maggior parte dei casi è invece imputabile a ben altri organismi. “Sebbene sia importante che le persone che passano tempo in natura sappiano cosa fare quando incontrano animali selvatici, il reale rischio di morte è molto basso”, ha dichiarato Jared Forrester, primo autore del lavoro.

 

Il vero pericolo si nasconde accanto a noi?

 

Quasi seicento persone sono morte a causa di “altri mammiferi”, per lo più animali da fattoria come le mucche e i cavalli. La seconda causa di morte è imputabile agli insetti come le vespe o le api, in genere per shock anafilattico. E il terzo “assassino” è il cane, con ben 272 casi sui 1610 descritti. Bene, ma in questa parata di potenziali omicidi amichevoli, i “cattivi” della cultura popolare dove si collocano? Nei sette anni analizzati, gli animali marini velenosi non hanno ucciso nemmeno un umano, gli scorpioni sono riusciti a eliminarne due, coccodrilli e serpenti uno ciascuno, mentre i cetacei e gli squali insieme hanno ottenuto un incredibile punteggio di 13: meno di 2 persone all’anno, laddove gli umani trucidano ogni anno circa 273 milioni di squali. La precedente ricerca, riferita ai 7 anni antecedenti, ha dato praticamente gli stessi risultati. Insomma, gli uomini non imparano mai e restano sempre gli assassini per eccellenza.

Marco Signore
Marco Signore
Laureato a Napoli in Scienze Naturali, PhD all'Università di Bristol in paleobiologia con specializzazioni in morfologia e tafonomia, è nella divulgazione scientifica da quasi 20 anni, e lavora presso la Stazione Zoologica di Napoli "Anton Dohrn". Nel tempo libero si occupa anche di archeologia, oplologia, musica, e cultura e divulgazione ludica.
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